VIAGGIO NEL MERCURION

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Viaggio in un tempo felice della nostra storia, quello in cui mettemmo radici sotto lo sguardo benevole, pieno di pietas di uomini straordinari. Ci fa da guida Giovanni Russo

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Nel 1967 lo storico francese Andre Guillou pubblicò quattro documenti che aveva rinvenuto presso la Biblioteca Apostolica Vaticana (Val. Lai. 13.489) fra i codici del fondo detto di Santa Maria della Matina. Essi costituivano, e costituiscono tuttora, le uniche testimonianze pergamenacee degli archivi di uno degli innumerevoli monasteri calabrogreci che costellavano l’antica Eparchia monastica del Mercurion: San Nicola di Donnoso, a 6 km a sud di Orsomarso.

Si tratta di due atti di vendita datati 1031 e 1036, di una sentenza emessa dallo Stratego di Lucania nel 1042 e di un atto di donazione del 1060-1061. Le carte, inizialmente custodite presso il monastero greco di San Nicola di Donnoso, furono trasferite presso l’abbazia benedettina di Santa Maria della Matina, non lontano dal centro urbano di San Marco Argentano, e infine archiviate presso la Biblioteca Apostolica Vaticana, probabilmente dopo essere transitate per l’abbazia di Cava de’ Tirreni, in provincia di Salemo, di cui il monastero della Matina costituiva una dipendenza.

In effetti se questi documenti non fossero stati conservati, non si avrebbero altre notizie circa l’esistenza di una struttura monastica intitolata a San Nicola di Donnoso e del suo catigumeno Clemente, il quale aveva costituito gran parte del proprio cospicuo patrimonio con metodi più o meno leciti. Altrettanto ignoti sarebbero rimasti gli altri monasteri citati, presenti sul territorio, e gli igumeni chiamati a comporre l’assemblea che affiancava lo Stratego di Lucania, Eustazios Skepides, nel processo contro il catigumeno Clemente per il possesso di una vigna.(1)

Visto l’elevato numero di monasteri che costituivano il Mercurion e che, verosimilmente, ognuno di essi disponeva di una biblioteca e di un archivio, è lecito domandarsi per quale ragione solo quattro delle innumerevoli carte e pergamene custodite al loro interno siano giunte sino ai giorni nostri; è chiaro che la risposta va ricercata proprio nelle sorprendenti vicissitudini del monastero mercuriense di San Nicola di Donnoso.

Il conferimento del monastero greco all’abbazia benedettina di Santa Maria della Matina fu un’operazione tutt’altro che isolata: nell’XI secolo, infatti, con l’avvento della dominazione normanna nell’Italia Meridionale, la Chiesa di Roma ebbe l’occasione per recuperare con i più alti interessi non solo la propria influenza sulla popolazione, ma anche tutti i beni che il movimento monastico orientale e il basileus avevano consolidato durante i secoli precedenti.

Al seguito dei Normanni era giunta nel Sud dell’Italia una moltitudine di monaci e abati che soppiantarono le istituzioni greche, lasciando che queste intraprendessero un irrimediabile processo di decadimento e precipitassero nel più totale abbandono. I monasteri mercuriensi finirono sotto la giurisdizione delle neo-istituzioni benedettine, le quali fecero subito man bassa dei loro possedimenti terrieri e si spartirono i codici miniati che sino ad allora avevano rappresentato il tratto distintivo e il motivo di vanto delle biblioteche monasteriali greche. Un’infinità di codici furono così venduti, a pochissimo prezzo, a collezionisti privati senza scrupoli o, addirittura, senza cultura.

Anche il monastero di San Nicola, che da poco aveva costituito un patrimonio invidiabile, subì la stessa sorte e nel corso dell’XI secolo passò, come detto, alle dipendenze e nelle disponibilità del monastero benedettino della Matina.

Le carte greche rinvenute da Guillou furono conservate dai monaci latini perché attestavano la legittima proprietà da parte del loro monastero di tutti i beni che il catigumeno Clemente aveva acquistato o avuto in dono. Verosimilmente, è questo l’unico motivo per cui questi documenti non seguirono la triste sorte delle altre carte e degli innumerevoli codici presenti nei monasteri calabro-greci.

Le carte greche provenienti dal monastero di San Nicola di Donnoso, pubblicate da Guillou dopo il loro rinvenimento presso la Biblioteca Apostolica Vaticana, contengono un’infinità di riferimenti onomastici e toponomastici, nonché di indicazioni riguardanti chiese, monasteri e abati, che hanno subito stimolato me e Pietro Rotondaro a individuare i luoghi sulla carta del territorio e a recarci direttamente sul posto per ricercarne le testimonianze ancora visibili.

È nata così l’idea di intraprendere un viaggio fantastico seguendo, come se fossero tanti indizi, le informazioni dispensate generosamente dalle carte, redigendo una sorta di mappa del tesoro, che, una volta disegnata e seguita pedissequamente, non porta al ritrovamento di una cassa di dobloni d’oro, bensì alla scoperta di testimonianze artistico-architettoniche e alla conseguente ricostruzione dei siti che nel corso dei secoli IX, X e XI contribuirono a far grande la storia e la fama del territorio – comprendente principalmente le valli dei fiumi Lao e Argentino – e delle persone che lo hanno abitato.

Tutti i toponimi e gli idronimi sono stati studiati per cercarne la collocazione sulle mappe. Ognuna di esse è stata setacciata per individuare al suo interno le località, le cui denominazioni presentino maggiori affinità linguistiche o semantiche con i toponimi che non hanno apparentemente lasciato traccia di sé. Ogni cognome è stato evidenziato per cercarne la sopravvivenza o la presenza del suo significato tra quelli dei nostri giorni.

A suo modo, il lavoro appena concluso rappresenta una sorta di viaggio nelle località elencate nelle carte greche di mille anni fa. Il volume presenta anche un inserto fotografico con trentadue immagini raccolte con tanta passione, professionalità e fatica da Pietro Rotondaro, che si è recato più volte sui siti, non sempre facilmente raggiungibili, per fissare le immagini sotto la luce più giusta e nell’angolazione più eloquente.

Dalla Premessa di VIAGGIO NEL MERCURION ATTRAVERSO CARTE GRECHE DELLXI SECOLO, di Giovanni Russo, Ferrari Editore

NOTE

1.Nelle Vite di celebri Santi che dimorarono a lungo presso il Mercurion, principalmente tra il X e l’XI secolo, si menzionano sporadicamente alcuni monasteri eparchici, come ad esempio quello del Castello o del Castellano (cfr. P. A. ROCCHI, Vita di San Nilo…, op. cit, pp. 36, 48, 50, 53; G. COZZA-LUZI, Historia et laudes SS. Sabae et Macarii Juniorum e Sicilia, Roma 1893, p. 46.) e altri di cui non si conosce l’intitolazione perché vengono citati solo per la permanenza al loro interno di illustri Santi che hanno fatto la storia e la fortuna del Mercurion, come i monasteri di San Fantino, San Zaccaria e San Giovanni. Infine dal testamento dell’igumeno Daniele, pervenuto tra le carte latine delle abbazie calabresi della Sambucina, della Matina e di Sant’Angelo de Frigillo, si apprende dell’esistenza di un monastero intitolato a sant’Elia. Dell’intera vicenda si è occupato F. BURGARELLA, L’Eparchia di Mercurio: territorio e insediamenti, Dipartimento di Filologia greca e latina – Sezione bizantino-neoellenica – Università di Roma “Sapienza”. Rivista di Studi Bizantini e Neoellenici, n.s. 39, Roma 2002. Cfr. anche A. PRATESI, Carte latine di abbazie calabresi provenienti dall’Archivio Aldobrandini (Studi e Testi, 197), Città del Vaticano, 1958.

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