I calabresi vestivano così

La produzione industriale dell’abbigliamento è stata una grande conquista: ha abbassato i costi, reso più semplice ed immediata la scelta. Di contro ha omologato le forme, i colori, i gusti; fatto scomparire i costumi tipici di un territorio, che ne raccontavano la cultura.

In questo testo del 1921 Giuseppe Isnardi racconta le forme, i colori degli abiti calabresi dell’inizio del secolo scorso.

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Sono ancora notevolmente diffuse in Calabria, nonostante i mutamenti prodotti nell’economia e nelle abitudini della gente dall’emigrazione e dai crescenti rapporti con le altre regioni d’Italia, le tradizionali fogge di vestire, specialmente femminili; e il loro apparire nella campagna soleggiata o fra le vecchie mura degli abitati è spesso, in certo modo, per il viaggiatore un compenso alla generale scarsezza di evidenti attrattive artistiche nella regione. È peccato, soltanto, che la facilità di ricorrere a prodotti del commercio tenda sempre più ad alterare, con aggiunte o sostituzioni, la semplicità e la grazia primitive dei costumi.

Nel territorio a nord e ad ovest di Catanzaro le gonne rosso vivo delle donne di Tiriolo, di Marcellinara, di altri paesi vicini mettono una nota vivacissima sugli sfondi verdi, gialli, argentini delle distese di grano, degli aranceti, degli uliveti della campagna; e nei giorni di festa, prodigiosa è la fantasmagoria di colori che le lunghe schiere di donne uscenti di chiesa o sfilanti nelle processioni religiose compongono sulle piazze e fra le vie strette dei paesi, col «vancale» — grande panno di lana a striscie variopinte — gettato con grazia istintiva sulle spalle, col bianco «mandile», con gli scialletti e con i fronzoli di cui si adornano busti, maniche e spalle.

A S. Giovanni in Fiore il bel costume nero e severo, quasi monacale, delle donne è ravvivato dai «rizzi», due lunghe ciocche di capelli inanellati che scendono ad incorniciare i volti, e dalle delicate fantasie delle «collerate», strisce ricamate ad ago con motivi di schietta eleganza che fa pensare a leggiadre decorazioni architettoniche bizantine, con le quali si adornano gli scolli delle camicie uscenti dal busto.

A Cosenza e nei dintorni predominano tinte di un giallo acceso nei fazzoletti, negli scialli di cui si ricoprono le donne; nei paesi albanesi si sfoggiano, specialmente in occasioni di feste famigliari, ricchezze abbaglianti di sete, di velluti, di stoffe intessute d’oro e d’argento; a Guardia Piemontese, un paesetto tirrenico della provincia di Cosenza i cui abitanti recano nel linguaggio i segni della loro lontana origine settentrionale, le donne portano in capo un curioso adornamento che ricorda le acconciature femminili dell’alta valle dell’alpestre Chisone.

Scomparso quasi intieramente nelle provincie di Cosenza e Catanzaro, il più sobrio e uniforme costume maschile è ancora diffuso nella parte meridionale montana della regione, fra i contadini e i pastori dell’Aspromonte. Da Catanzaro in giù non è raro trovare ancora uomini che portino la lunga pendula berretta di lana blu scuro, mentre nei dintorni della stessa città e nei paesi della montagna che la divide da Cosenza avviene talvolta di incontrare qualche vecchio col piccolo, caratteristico «cervume» che, ornato di nastri multicolori, fu un tempo il famoso cappello a cono dei pittoreschi briganti.

Accanto ai costumi converrebbe dire dei tessuti artistici di tipica fabbricazione regionale, per i quali un tempo la Calabria fu famosa. Catanzaro conserva ancora, in case signorili ed in chiese, tesori di quei suoi damaschi dai grandi, ariosi disegni di ispirazione classica per cui il suo nome corse un tempo in tutta Europa, dalla Spagna alla Russia: arte ormai completamente scomparsa ed alla cui resurrezione, anche oggi tentata, mancano la pazienza degli uomini ed il senso, perduto col rendersi complicato e pur uniforme della vita, di quella grandiosità ispirata da lusso di famiglie dominatrici e da sfarzo portentoso di cerimonie religiose.

In paesi albanesi della provincia di Cosenza (Cerzeto, S. Martino di Finita ecc.), a Longobucco sperduto fra i dirupi della Sila Greca, nell’alto Crotonese e a S. Giovanni in Fiore le donne compongono ancora sui primitivi telai domestici trame multicolori di rustiche coperte di lana, di ginestra o di seta, ripetendo disegni arcaici spesso tramandati in segreto di madre in figlia o di maestra in alunna, nei quali motivi di ispirazione schiettamente popolare o di origine orientale e stilizzazione di animali e di piante compongono insiemi di interessante carattere decorativo.

Purtroppo la facile diffusione dei tessuti meccanici forestieri e l’introduzione delle tinte a base di anilina ha recato da qualche decennio a questa industria casalinga un colpo dal quale assai difficilmente potrà riaversi, dando luogo all’imitazione di volgari disegni naturalistici e mutando la delicata semplicità primitiva delle tinte in un policromismo violento e di pessimo gusto. Né ancora può dirsi riuscito il tentativo, da parte di alcuni volenterosi, di fornire a quest’arte, che non si vorrebbe lasciar morire, nuove fonti di ispirazioni che le permettano di non essere soltanto — nella migliore delle ipotesi — meccanica riproduzione di motivi estetici non più sentiti popolarmente ed apprezzati.

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Da “LA SCUOLA, LA CALABRIA, IL MEZZOGIORNO”, di G. Isnardi  – Laterza

La foto, che devo alla cortesia di Franca Tirone, mostra sua nonna, Teresa Sangiovanni, in un elegante abito orsomarsese dei tempi passati.

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