Uomini e caporali

Il titolo del film nasce da una espressione usata sei anni prima in Totò le Mokò. Venne sottovalutato dalla critica dell’epoca che non ne riconobbe il talento, vedendo solo la figura comica, senza riuscire a comprendere come la comicità potesse, anche, essere un espediente, come lo era già stato nell’avanspettacolo.

È uno dei primi film italiani, visto l’anno della sua uscita, il 1955, a trattare, seppur nel breve spezzone e con sarcasmo, la tragica realtà del lager. Basti pensare che Kapò è uscito nel 1959.

Nelle parole che seguono, tratte dal dialogo fra Totò e il medico che lo esamina, è racchiuso il senso del film:

«L’umanità, io l’ho divisa in due categorie di persone: Uomini e caporali.
La categoria degli uomini è la maggioranza, quella dei caporali, per fortuna, è la minoranza.
Gli uomini sono quegli esseri costretti a lavorare per tutta la vita, come bestie, senza vedere mai un raggio di sole, senza mai la minima soddisfazione, sempre nell’ombra grigia di un’esistenza grama.
I caporali sono appunto coloro che sfruttano, che tiranneggiano, che maltrattano, che umiliano. Questi esseri invasati dalla loro bramosia di guadagno li troviamo sempre a galla, sempre al posto di comando, spesso senza averne l’autorità, l’abilità o l’intelligenza ma con la sola bravura delle loro facce toste, della loro prepotenza, pronti a vessare il povero uomo qualunque.
Dunque dottore ha capito? Caporale si nasce, non si diventa! A qualunque ceto essi appartengano, di qualunque nazione essi siano, ci faccia caso, hanno tutti la stessa faccia, le stesse espressioni, gli stessi modi. Pensano tutti alla stessa maniera!»
(Totò Esposito)
(Wikipedia)
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