Nella gioia si dimentica il futuro ma si dimentica anche il passato

Nella esperienza interiore (soggettiva) del tempo, che si ha nella gioia, si vive nell’istante: nel presente del presente agostiniano; e si trasforma radicalmente e immediatamente la relazione abituale con il passato e con il futuro. Il passato non è più vissuto come qualcosa che opprima, e oscuri, la coscienza che si ha della vita ma come qualcosa che accompagni, e rassicuri, la vita. Il futuro, a sua volta, non è più vissuto come destino inesorabile che angosci l’esperienza che si ha della vita ma come un orizzonte di possibilità infinite alle quali è estranea ogni connotazione di pericolo.

La coscienza soggettiva del tempo, la valutazione che c’è in noi del tempo nel suo svolgersi e nel suo arrestarsi, dipendono dalla nostra condizione emozionale, dalla Stimmung [stato d’animo]in cui ci veniamo di volta in volta a trovare nelle diverse situazioni. Emblematicamente il tempo si inaridisce, si insabbia e si rallenta, in ogni stato d’animo divorato dalla noia: i minuti avanzano con immensa lentezza, e nulla riesce ad accelerarli. Il tempo non ha mai fine nemmeno nelle condizioni emozionali di angoscia, di disperazione e di oppressione: quando le ore e i giorni non passano più: pietrificati nella loro immobilità.

Le cose cambiano radicalmente in ordine alla percezione soggettiva del tempo quando siamo emozionalmente impegnati in esperienze di vita riempite di realizzazione, di soddisfazione, di occupazione, di distensione, di serenità, e anche di gioia. In questi casi il tempo scorre velocissimo: inafferrabile e inarrestabile; e, anzi, fugge e si volatilizza. I giorni divengono ore, e le ore divengono minuti in metamorfosi senza fine.

Nel ricordo, quando lungo i sentieri misteriosi della memoria riandiamo alle esperienze interiori che abbiamo vissuto in tempi vicini, o lontani, le cose cambiano ancora: i periodi di tempo, che sono trascorsi in noi lentamente e faticosamente, li riviviamo come inconsistenti e come inutilmente trascorsi, svuotati di ogni significato; quelli, invece, che sono passati e sono fuggiti inarrestabili, li riviviamo come intensi e dotati di una grande resistenza all’oblio: si sono dilatati nel tempo e rinascono in noi intatti e duraturi.

Vorrei ora ritornare ad analizzare come il tempo (interiore) sia rivissuto in una situazione emozionale di gioia. […]

Nella gioia il tempo scorre così rapidamente, nei vortici di un presente isolato, e staccato, dal passato e dal futuro, che in essa non si sa (metaforicamente) dove si sia, e dove si sia stati. Ma nella gioia avviene talora qualcosa di ancora più emblematico e significativo: non si fa nemmeno attenzione al tempo: si dimentica il tempo e ci si sente al di sopra del tempo: vivendo, infine, in una condizione che è possibile definire di assenza, di cancellazione, del tempo.

Ma altri aspetti nella analisi fenomenologica del tempo nella gioia si possono delineare nelle loro luci e nelle loro ombre. In una Stimmung, sigillata dalla gioia, il futuro (l’avvenire) viene dimenticato: non ci sono (più) preoccupazioni e timori, e le speranze sembrano realizzarsi tutte. Non si ha nemmeno bisogno di aspirare a qualcosa: di avere nostalgia di qualcosa; e questo perché ogni appagamento esistenziale si realizza nel qui-e ora di un presente immobile. Ma non c’è nemmeno la paura di qualcosa: quello che si vive nel presente, l’istante bruciante e indicibile in cui ciascuno di noi rivive le ore della gioia, ha in sé una radicale connotazione di sicurezza e di protezione. Nella gioia, del resto, si dimentica il futuro ma si dimentica anche il passato: le significazioni oppressive e fantasmatiche del passato. Il presente della gioia, l’attimo e l’istante della gioia, sembrano dilatarsi e allungarsi nella esperienza soggettiva che si ha di questa fragile e intensa, friabile e scintillante, esperienza emozionale; e in essa sembrano confluire, o almeno sconfinare, sia il futuro sia il passato: nella figura di un tempo che si dissolva, come nelle esperienze mistiche di Teresa d’Àvila così divorate dalla gioia, in una a-temporalità senza fine.

La gioia è anche, e soprattutto, una emozione che rinasce in noi solo quando il nostro cuore si sottrae agli avvenimenti di ogni giorno: aprendosi agli orizzonti di una speranza che incominci ad esprimersi ora, e non già solo nel futuro: come è nella sua ragione d’essere. La gioia è una emozione così splendente e così desiderata: nella misura in cui non è determinata da qualcosa di esteriore ma è una fontana spontanea sgorgata dagli abissi della nostra interiorità. La gioia è una emozione friabile ed effimera: come la stella del mattino che si intravede, e poi scompare, fra la notte e l’alba: come la rosa di Malherbe che, nella sua straziata e inafferrabile poesia, fiorisce e poi muore nello spazio di un mattino. La gioia è una emozione di indicibile leggerezza che ci fa riflettere senza fine sul mistero della condizione umana: sulla sua fragilità estenuata e nondimeno resistente anche nelle situazioni della vita più difficili e più insostenibili, alla distruttività e alla violenza inumana: come è avvenuto in Etty Hillesum che mai ha rinunciato a cogliere le ragioni della gioia anche nell’ora della morte.

EUGENIO BORGNA

FONTE: Le emozioni ferite, di E. Borgna – Feltrinelli

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