La iattanza di Churchill verso l’Italia

Stalin e Churchill

Dall’estate del 1943 gli Alleati, e gli inglesi in particolare, rivendicarono per sé l’Italia. Il controllo del Mediterraneo era un obiettivo strategico tradizionale dell’Inghilterra, e gli americani accondiscesero al desiderio britannico di avere un ruolo preponderante in quell’area.

 I russi furono rapidamente esclusi da ogni controllo diretto sui destini della penisola. Malgrado le rabbiose proteste di Stalin, l’idea di una commissione congiunta dei tre grandi per decidere i termini dell’armistizio con l’Italia fu presto abbandonata. La forza delle armi decideva ormai tutto. Quando Churchill e Stalin si incontrarono al Kremlino nell’ottobre 1944, si divisero l’Europa tra loro: gli Alleati in Occidente, i russi in Oriente. L’accordo non era del tutto chiaro rispetto allo status di alcuni paesi, soprattutto la Jugoslavia e la Grecia, ma non sussistevano dubbi circa il destino dell’Italia.

Churchill confidò casualmente a Stalin che non aveva un gran rispetto per il popolo italiano. Stalin concordò affermando che «era il popolo italiano che aveva prodotto Mussolini», un commento difficilmente inseribile in qualsiasi conosciuta analisi di classe sulle origini del fascismo.

Gli inglesi erano dunque l’elemento esterno che aveva maggiore influenza sull’Italia, e qualsiasi riassunto dei loro atteggiamenti non ispira un giudizio incoraggiante. Churchill era stato in passato un ammiratore di Mussolini e aveva elogiato, persino dopo il 1945, il modo in cui questi «aveva salvato il popolo italiano dal bolscevismo a cui si stava abbandonando nel 1919, mettendo l’Italia in una posizione che essa non aveva mai avuto all’interno dell’Europa». Il primo ministro inglese si era molto rammaricato che il Duce avesse scelto l’alleato sbagliato: «non capì mai la forza della Gran Bretagna, né le sue capacità di resistenza e la sua forza marittima. Per questo procedette verso la rovina».

La principale preoccupazione di Churchill era di difendere ciò che egli chiamava «i tradizionali rapporti di proprietà» dalla minaccia aggressiva del comunismo. Egli voleva che il re rimanesse al suo posto, o che vi restasse perlomeno il figlio Umberto. Non era interessato a sradicare il fascismo dall’apparato statale italiano ed era contento, come ha scritto Pavone, «di offrire l’immunità in cambio dell’obbedienza». Per lo statista inglese, Vittorio Emanuele e Badoglio costituivano la migliore garanzia di continuità dell’ordinamento tradizionale, ed anche i più compiacenti interlocutori che gli inglesi potessero trovare. Churchill dava poca importanza all’antifascismo italiano. Di Croce aveva detto che era «un professore nano», e nel febbraio 1944 fece un discorso famoso ed offensivo, schierandosi a favore della monarchia e contro il Cnl: «Quando bisogna tenere in mano una caffettiera è meglio non romperne il manico fino a quando non se ne è trovato uno nuovo altrettanto conveniente e utilizzabile, o almeno fino a quando non c’è uno strofinaccio per le mani».

Dietro il disprezzo si nascondeva un’intenzione fortemente punitiva. Churchill ritenne sempre che spettava agli italiani, adesso, «guadagnarsi il loro biglietto di ritorno» nel consesso delle nazioni civili del mondo. E non era certo compito degli inglesi aiutare l’Italia su questa strada. Appena l’occupazione alleata si fu stabilizzata, il cambio venne fissato in modo permanente a 400 lire per una sterlina, imponendo di fatto una rovinosa svalutazione della lira che rese doppiamente difficile qualsiasi ripresa dell’economia italiana. Il «biglietto di ritorno » si stava presentando oltremodo costoso. Il ministero del Commercio inglese rigettò i piani americani di sostegno alla ricostruzione industriale italiana, sostenendo che qualsiasi ripresa del settore tessile italiano sarebbe stata una minaccia all’industria cotoniera del Lancashire.

Al ministero degli Esteri le cose andavano ancora peggio. Alexander confessò che Eden era «quasi psicopatico» nei confronti dell’Italia, e nell’agosto del 1944 l’ufficio studi del Foreign Office presentò una relazione in cui si suggeriva il prolungamento della tutela britannica sull’Italia fino a quando la popolazione non avesse imparato dagli inglesi a comportarsi in modo democratico.

Da STORIA D’ITALIA DAL DOPOGUERRA AD OGGI , di P. Ginsborg – Einaudi

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