IL MURO, L’AMERICA e OCCHETTO

Gli ultimi 25 anni ne sono stata una dimostrazione lampante. Dopo i primi entusiasmi seguiti al crollo del Muro, dopo le rassicuranti prospettive aperte dalle teorie demenziali, ma sciagurate, della “fine della storia”; dopo l’autoesaltazione dei grandi e piccoli opinion maker del liberalismo, che si fregavano le mani, ripetendo che loro lo avevano sempre detto, che il comunismo era il dio che aveva fallito, che il libero mercato era la sola possibilità per il genere umano, che avevano ragione la Thatcher e Reagan, quando dicevano  che lo Stato non era la soluzione del problema ma il problema…; ebbene dopo quella prima orgia trionfale, dopo che l’Unione Sovietica fu frantumata, dopo che l’ubriacone Boris Eltsin fu messo al potere a Mosca, dopo che il mondo fu immerso in una guerra senza fine, dopo le centinaia di migliaia di cadaveri, dopo le distruzioni di intere nazioni, dopo la devastazione ambientale e climatica, qualcuno cominciò a mormorare che non andava “tutto bene”. E che il “dopo” si stava rivelando persino peggiore del “prima”. Ma intanto il nemico comunista era stato sostituito dal nemico islamico. Di un nemico c’era pur sempre bisogno, altrimenti come tenere a bada le masse dei subalterni?

L’ordine post-1989 era diventato un ordine unipolare, con una sola superpotenza, gli Stati Uniti d’America, che divideva il mondo in buoni e cattivi, e stilava l’elenco dei “rogue States”, gli “Stati canaglia”, e si ergeva a giudice e sceriffo universale, imponendo una moneta, una lingua, una ideologia, un mercato. E per qualche anno le cose andarono avanti così, nella compiacenza subordinata del resto dell’Occidente. I partiti che si richiamavano alla tradizione socialista e comunista fecero “seppuku” ossia “harakiri”, a cominciare dal PCI, guidato dall’indimenticabile Achille Occhetto, che peraltro era soltanto la punta dell’iceberg, espressione di un partito che ormai da anni aveva gettato alle ortiche la propria identità ideologica e sociale, e che non vedeva l’ora di assaporare il gusto del potere.

Ma per quanto dichiarassero i suoi dirigenti (per intenderci, gli eredi di Bordiga, Gramsci, Togliatti, Longo e Berlinguer), che sputavano sul comunismo, elogiavano i “capitani coraggiosi” che intanto distruggevano il tessuto economico del Paese, erano in prima fila nella battaglia per privatizzare tutto, si inchinavano alla NATO nelle guerre imperiali, in realtà continuavano ad essere guardati con sospetto dai loro ex avversari liberali. Sicché dovevano moltiplicarsi le prove di fedeltà all’Occidente, agli USA, e alla nuova creatura che stava formalizzando il proprio assetto istituzionale, la UE. Accade persino che i discendenti di Umberto Terracini, padre della Costituzione, non esitarono a ferire quella “sacra” Carta, inserendo nel dettato costituzionale il “pareggio di bilancio”, imposto dalla troika (che intanto affamava la Grecia), e divennero gli alfieri del “privato è bello”, in prima fila nella destrutturazione dello Stato sociale, nella sanità, nell’istruzione, nei servizi. E rincorrendo la Lega, all’ideologia della privatizzazione aggiunsero, in un micidiale “combinato disposto”, la regionalizzazione, a cominciare dalla Sanità, che ne ricevette un colpo le cui conseguenze sono davanti a noi in queste tragiche settimane.[…]

Di Angelo D’Orsi

FONTE: http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/?p=28886

FOTO: Rete

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