STORIE CALABRESI – I fantasmi di Bisignano

A Bisignano nelle notti di vento, alla mezza precisa, due aeree ombre teneramente abbracciate veleggiano attorno al castello come inquiete colombe; ma guai alle ragazze da marito che le dovessero scorgere o che proprio in quel momento dovessero fissare l’orologio sulla torre: il loro matrimonio sarebbe infelice, come lo fu quello dei due fantasmi.

Uno dei Sanseverino, feudatari di Bisignano, fu intransigente nel pretendere che tutte le spose novelle del suo feudo trascorressero con lui la prima notte di nozze; e non faceva eccezione per nessuna, anche per evitare disdicevoli precedenti.

Un giorno s’ammogliò il suo servitore più fidato e lui, ostentando benevolenza, gli domandò che volesse come regalo di nozze. Il giovane chiese solo che la sua donna fosse esentata dallo ius cunnaticum e il principe glielo concesse, degnandosi pure di invitarlo a cena insieme alla sposa per la sera stessa del matrimonio.

Il castello era illuminato a giorno quando gli sposi vi andarono per cenare col principe. La tavola era apparecchiata con argenti e cristalli, imbandita d’ogni ben di dio, e camerieri in livrea servivano pietanze che poveracci come loro manco se le sognavano. I due giovani erano abbagliati, intimiditi.

A un certo punto il maggiordomo mormorò qualcosa all’orecchio dello sposo che, dicendosi mortificato perché aveva un’imbasciata urgente da sbrigare, s’allontanò. Il principe restò solo con la sposa e i suoi modi si fecero ancora più confidenziali; poi battè le mani e ordinò che fosse servito il dolce: con ironica, grottesca solennità entrarono due «bravi» portando un vassoio su cui era la testa appena mozzata dello sposo.

A vederla, la fanciulla gridò di terrorizzato dolore, si graffiò il viso, si strappò i capelli, ma il principe le fu sopra e la possedette di forza là stesso, sulla tavola imbandita, accanto allo sguardo spento di quella testa sul vassoio.

Cinque giorni rimase la meschina nel castello, passiva preda delle principesche voglie; poi fu gettata per strada, ma la sua mente era ormai catturata in un delirio febbrile che avvelenò di follia i suoi ultimi giorni; non mangiò né parlò più: sempre con gli occhi sbarrati continuava a rivivere l’orrendo dramma di cui era stata vittima; si spense a poco a poco, ricongiungendosi infine all’amato, insieme al quale, nelle notti di vento, ritorna sui tristi e sinistri luoghi della tragedia per rinnovare la sua inestinguibile maledizione.

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Da GUIDA ALLA CALABRIA MISTERIOSA, di Giulio Palange – Rubbettino

FOTO: Rete

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