DA BISANZIO ALLA CALABRIA

 Codice purpureo di RossanoResurrezione di Lazzaro

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Per tracciare un itinerario tra le più prestigiose opere d’arte, veri capolavori, che la Calabria vanta, non si può che dare il posto d’onore al celeberrimo Codice purpureo di Rossano – detto il Rossanese -, custodito nel Museo Diocesano d’Arte Sacra di questa città.

Proviene dalla Cattedrale, e non se ne conoscono le date e le modalità d’arrivo, mentre pressoché concorde è l’opinione di ritenerlo eseguito tra la fine del quinto secolo e la metà del sesto in uno scriptorium dell’Oriente bizantino, forse a Cesarea o ad Alessandria, e l’ipotesi di considerarlo di destinazione imperiale, per l’uso della porpora nella colorazione dei fogli.

Si è sempre sostenuto che il prezioso manufatto fu portato a Rossano da monaci che, per sfuggire all’iconoclastia imperversante a Costantinopoli e nelle zone orientali dell’Impero bizantino, cui la Calabria apparteneva, approdarono in questa città nel corso del settimo secolo. Oggi, però, si ritiene possibile vi sia giunto molto tempo dopo e cioè nel decimo secolo, quando, rinsaldati i legami con l’Impero, la città venne elevata a sede vescovile, divenendo centro di interessi politici di Bisanzio. È l’età del grande monaco Nilo da Rossano, fondatore di molti monasteri, tra cui quello di Grottaferrata, nei pressi di Roma.

Rossano, Museo Diocesano d’Arte Sacra, Pietà (sec. XV, fine; Andeas Pavias)

Gli stretti legami di Rossano con l’Impero, inoltre, appaiono evidenti in quella vera e propria reliquia della pittura medievale del Mezzogiorno che è l’Achiropita, ancora venerata in un altare di marmi commessi commissionato dall’arcivescovo Andrea Adeodati nel primo Settecento e realizzato da Antonio e Lorenzo Fontana, che avevano lavorato a Monte Cassino, e un tempo decorata da una manta d’argento bollata Napoli e col punzone di Orazio Scoppa, noto argentiere napoletano del Seicento. La raffigurazione della Vergine scelta per l’affresco, infatti, ricalca quella che si può ragionevolmente supporre sia stata la più antica immagine dell’Odigitria di Costantinopoli, replicata anche nell’icona di Santa Maria Maggiore a Roma. Quindi, come tale – e nonostante gli ancoraggi stilistici tra le pitture medievali di Olevano sul Tusciano e le miniature beneventane e rossanesi – attesta la particolare adesione della città ai culti imperiali, traslati direttamente da Costantinopoli o tramite Roma, luogo quest’ultimo dove appunto l’immagine era venerata negli ambienti imperiali greci, come a Santa Maria Antiqua. Ciò è tanto più probabile quando si consideri che \’Achiropita, fra le immagini simili finora conosciute, presenta la Madonna col manto rosso porpora e il Bambino che regge un rotolo, iconografia senz’altro più conforme alle rappresentazioni bizantine.

Scalea – Cappella dello Spedale

Dell’età greco-bizantina della Calabria rimangono altri affreschi, molti frammentari e sopravvissuti in contesti architettonici di indubbio fascino, come la chiesa dello Spedale di Scalea, la Cattolica di Stilo e ora anche nella chiesa di Campo a Sant’Andrea Apostolo sullo Jonio e in quella di San Donato di Ninea dedicata al Santo eponimo cittadino. Sono dipinti che permettono di cogliere l’evoluzione della cultura artistica calabrese a partire dai modelli bizantini, sia pure con le diverse inflessioni e declinazioni collegabili ai diversi centri di produzione e ai risvolti presumibilmente locali, a quelli più schiettamente dipendenti dalle elaborazioni cui tali formule furono sottoposte in Puglia e nella Sicilia normanna.

Chiesa di Sant’Adriano a San Demetrio Corone

Ciò avviene anche nel caso dei mosaici pavimentali della chiesa di Sant’Adriano a San Demetrio Corone o di quelli del Patire. I primi, si collegano ai simili reperti recuperati a Sagmata, in Beozia, preludendo alle pavimentazioni cassinesi dell’età di Desiderio; i secondi, invece, sono una significativa rielaborazione normanna di modelli diffusi dalle stoffe e dagli avori. Tra questi mosaici, poi si collocano anche i frammenti recuperati nella Cattedrale di Rossano che possono essere accostati al pavimento della Cattedrale di Otranto in Salente.

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Da LA CALABRIA NELL’ARTE, DI Giorgio Leone – Città Calabria Edizioni

FOTO Rete

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