NAPOLEONE E LA CALABRIA

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La Calabria crea molti problemi ai francesi. Napoleone rimprovera il fratello Giuseppe – «siete troppo buono, soprattutto per il paese in cui vi trovate» – perché non è stato capace di domare i calabresi. Come se fosse facile domarli! È vero che il Regno di Napoli è, come dice Napoleone, «caduto in mano nostra per diritto di conquista», ma c’è chi quel diritto non lo riconosce e lo contesta, armi in pugno.

Da Parigi il 30 luglio 1806 dispensa consigli in una lettera chilometrica e con un tono imperativo: «Non perdonate; fate passare per le armi almeno seicento insorti. Mi hanno ammazzato un numero superiore di soldati». Vuole vendetta, Napoleone. Non tollera che i calabresi abbiano ucciso i suoi soldati. Non lo accetta. Non lo può accettare. La sua cultura glielo vieta. «Fate bruciare le case di trenta notabili e distribuite all’esercito le loro proprietà. Disarmate tutti gli abitanti e fate saccheggiare cinque o sei villaggi fra quelli che si sono comportati peggio».

L’imperatore dei francesi incita al saccheggio e ad agire con atti di terrorismo puro verso persone incolpevoli – «notabili» e «villaggi». Sembra poi ossessionato dai soldi, dalle proprietà. «Dal momento che la Calabria è in rivolta, perché non confiscate la metà delle proprietà del paese per distribuirle all’esercito?». Insiste e minaccia di intervenire personalmente: «Siccome i calabresi hanno assassinato i miei soldati emanerò io stesso un decreto con il quale confischerò a vantaggio del mio esercito la metà dei redditi della provincia, pubblici e privati».

Napoleone è senza freni. Pensa solo alla confisca dei beni per finanziare il suo esercito. Perché quest’insistenza? L’acrimonia verso i calabresi è spiegabile con il fatto che hanno provocato consistenti perdite di uomini all’esercito. Hanno messo in serie difficoltà l’esercito più potente del mondo e stanno ritardando la marcia verso la Sicilia, dove i francesi vorrebbero sbarcare per sottrarla agli inglesi. Per questo vanno puniti in modo esemplare.

Il fatto che Napoleone voglia i soldi dei calabresi si spiega con una promessa fatta ai suoi soldati che non è riuscito ancora a mantenere. Nel proclama del marzo 1796, infatti, ha assicurato ai suoi uomini, pronti a partire per l’Italia: «Soldati, voi siete mal vestiti, mal pasciuti, e il governo che tutto vi deve nulla può per voi. Io vi condurrò nel paradiso terrestre, dove troverete piani ubertosi, grandi città, laute province, dove vi aspettano onore, gloria, ricchezze».

Le parole chiave sono onore, gloria e, soprattutto, ricchezze. I soldati saccheggiano, rubano, fanno bottino di tutto quello che capita sottomano. È quello che gli è stato promesso: ricchezze. Una sola cosa appare subito evidente a soldati ed ufficiali: la Calabria non è il paradiso terrestre; semmai è un inferno per chi non sappia rispettare e trattare i calabresi con il dovuto garbo.

Napoleone teme di non essere capace, in futuro, di assicurare la paga ai suoi soldati. È determinato: vuole passare per le armi centinaia di calabresi. Come se ciò fosse sufficiente a pacificare quella regione. È uno sfogo, un lungo sfogo contro il fratello, che continua a rimproverare dall’inizio alla fine della lettera che si chiude così: «siete troppo buono». In tutto lo scritto non compare mai la parola ‘briganti’. Napoleone non ne fa cenno. Per lui i calabresi sono ribelli e come tali vanno trattati. Hanno osato uccidere i soldati francesi, e allora devono essere puniti duramente.

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Da LA GRANDE MATTANZA DI Enzo Ciconte – Laterza

FOTO: Rete

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