GRECI DI CALABRIA, una risorsa da preservare

  1. Definizione

È forse opportuno mettere in rilievo che i Greci di Calabria, detti anche grecanici, con una parola che talvolta si è colorita di sensi dispregiativi, non sono una popolazione diversa dagli altri abitanti della Calabria meridionale, ma piuttosto quei calabresi che della nostra tradizionale cultura greca hanno tramandato l’idioma, come lingua viva, e alcune altre consuetudini in forme peculiarmente corrispondenti alle matrici che le hanno generate: in particolare, l’arte poetica e musicale, l’artigianato e il ricordo della madrepatria.

Un altro elemento caratterizzante è la condizione contadina, cioè agricola e pastorale, della loro tradizione, fra le più significative della cultura popolare calabrese. Essi devono la loro persistenza all’umile capacità di sopportazione di innumerevoli generazioni di cosiddetti analfabeti. La salvaguardia della loro tradizione, dunque, non tende solo alla conservazione di un patrimonio circoscritto, ma interessa largamente la storia della nostra civiltà contadina aspromontana.

  • Cenni per la storia delle comunità ellenofone

Anche se personalmente ritengo più documentata e quindi preferibile l’opinione del Rohlfs circa la continuità della lingua greca di Calabria dal tempo della Magna Graecia, non entro in merito al problema. Ritengo, tuttavia, che debba essere riconosciuto da tutti il ruolo primario della cultura bizantina nei confronti della cultura e della spiritualità calabrese, in particolare della Calabria meridionale. Durante l’età bizantina la Calabria conobbe secoli di equilibrio e prosperità sociale ed economica ed ebbe un tenore culturale vicino a quello degli ambienti medi di Costantinopoli. L’assetto rurale dell’economia, la distribuzione della società nei villaggi collinari e dell’interno, l’opera capillare di acculturazione condotta dai monaci, fece sì che la civiltà bizantina calabrese impregnasse di sé ogni ceto sociale, specialmente della Calabria meridionale, in ogni luogo dell’attuale provincia di Reggio Calabria e di quella di Catanzaro.

Area grecanica

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Come è noto, per tutto il medioevo questa Calabria fu equiparata alla Grecia nell’opinione dell’Occidente; e si ritiene che fino quasi al sec. XV anche a Catanzaro si parlasse abitualmente il greco. Da quel tempo in poi, per dissoluzioni successive, l’area degli ellenofoni venne sempre più restringendosi, fino all’attuale condizione di estrema precarietà. Al volgere dell’XI secolo, con il declinare del dominio bizantino, erano intervenute nuove culture, in concomitanza e successiva opposizione nei confronti di quella greca mista a interferenze arabe della Calabria bizantina. Se con i Normanni il conflitto si fece sentire solo ad alti livelli, interessando la distribuzione dei feudatari e dei vescovi latini, mentre l’intervento del monachesimo latino, specie con i benedettini cluniacensi e con i certosini, produsse piuttosto incontri e innesti nel campo della cultura e dell’arte, la situazione restò stazionaria durante la breve età sveva, ma si deteriorò nettamente, ai danni della cultura greca, con gli Angioini e da allora continuò a peggiorare. L’intervento dei Latini nei territori greci dell’Impero d’Oriente, a partire dalla sventurata presa di Costantinopoli, la caduta del prestigio bizantino nel campo politico ed economico internazionale, l’intervento massiccio di gente ed interessi d’Oltralpe nella nostra terra, affermarono sempre più l’opinione della grecità, o grecanicità come espressione di un popolo vinto o da sottomettere, non soltanto sul piano religioso. Così la nostra cultura greca cominciò ad essere solo retaggio delle classi politicamente meno rilevanti.

Successive tappe di involuzione, di avversione o di lotta in un disconoscimento sempre più completo, furono la decadenza dei monasteri greci, in preda alle commende e il correlativo deteriorarsi della cultura religiosa del clero greco; la caduta di Costantinopoli; l’opera di riduzione dei Greci alla Chiesa romana, perfettamente riuscita qui, dove esponenti della cultura e della religiosità orientali erano rimaste solo classi imbelli ed indifese, e nemmeno del tutto consapevoli di se stesse (a Gerace ed Oppido il rito greco fu tolto sul finire del sec. XV dal vescovo Atanasio Calceopulo, a Bova dal vescovo Giulio Stavriano sul finire del sec. XVI,14 mentre nella zona grecanica della diocesi di Reggio finì per atrofia agli inizi del sec. XVII); l’avversione settecentesca, da noi ancora oggi vigorosa, contro tutto il medioevo e in particolare contro il medioevo bizantino; il disinteresse dei libri di scuola italiani verso tutta la storia medievale meridionale, e in particolare verso la Calabria bizantina, motivo per cui si succedono generazioni di professionisti completamente ignoranti su questo argomento; l’opinione sempre più diffusa che l’analfabetismo fosse sinonimo di totale ignoranza da coprire con culture importate; il disprezzo italiano per i particolarismi culturali, evidenziatosi in imposizioni e derisioni nei confronti degli ellenofoni: l’abbandono del greco da parte delle classi colte bovesi, avvenuto agli inizi del ‘900, per la diffusa opinione che si trattasse di una lingua corrotta, dei “tamarri”, cioè della gente di campagna, rozza, turbolenta, incolta.

D’altra parte, le successive e sempre più gravi crisi dell’agricoltura e dell’economia agricola calabrese, specie a partire dall’età spagnola, avevano cancellato anche dalla memoria l’assetto di equilibrio economico, sociale e culturale dell’età bizantina e sempre meno si tenne conto, nella vita pubblica calabrese, dei contadini e dei pastori che nelle zone attualmente ellenofone costituirono la totalità o almeno la stragrande maggioranza della popolazione fino alla metà del nostro secolo, tranne che a Bova.

La lingua greca fino a tutto il Seicento fu diffusa in molti luoghi aspromontani. Fra il ‘700 e i primi dell’800 si ridusse alla zona jonica, osteggiata talvolta anche dalle autorità religiose, e si attestò, verso la fine del secolo scorso, tra Pentedattilo e Bova, tra Mosorrofa e Cardeto. Il più grave crollo avvenne dopo l’unità d’Italia, così che nel giro di pochi decenni gli ellenofoni si ridussero alla sola vallata dell’Amendolea. Anche in questa contrada il numero degli ellenofoni reali è venuto scemando, specialmente dopo le alluvioni del 1950. Una sorte non dissimile hanno avuto gli altri aspetti della nostra cultura greca: la musica, i tessuti, gli oggetti, persino la cucina.

Da FOGLIE LEVI, di Domenico Minuto – Città del Sole

FOTO: Rete

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