A mio padre

.

Talvolta mi domando dove approdi

un cammino dolente come il tuo;

s’altri ne disegnò minuta traccia;

se ognor con mente libera tu il verso

ne governavi; o se un evento o un altro

di qua di là ne distorceva il corso,

come l’asperità del suolo al rivo.

Certo non tu scegliesti il quando e il dove

salire sulla giostra e cominciare

la danza in una sporta in groppa a un mulo;

né tu bramavi di durar nel giro

appresso ai muli, alla calura e al gelo,

per erte e valli, consumando i giorni

dell’età bella e disfiorando i sogni.

Altri le sabbie dAfrica avvampate,

ignaro fante, ti spedì a pestare;

a impidocchire per nevose lande,

fino al ludibrio della prigionia.

Poi la miseria torse il riluttante

passo per vie tormentose e incerte,

a tentare, terrone verecondo,

ben dure porte, il cuore trepidante,

le familiari immagini negli occhi.

E non chiamato alfine irruppe il male

a funestare il tempo del riposo

atteso: il corpo devastò, feroce,

le viscere ti rose e chiuse il giro.

Quello m’han detto e questo ho visto, padre.

E gli intermezzi di fugaci gioie

potevan mai pareggiare il conto

con una vita pendula tra giorni

senza memoria e giorni scritti a fuoco?

Se una fu la mano portentosa

che alle altrui intrecciò le tue vicende,

e con rigore estremo fin la via

e il numero dei passi predispose,

perché l’enorme scarto? Quella mano

forse volea ridar candore all’anima

prima che la lordassi e, nel contempo,

nobilitar vieppiù l’umana specie?

Ma pur tu eri un buono, ed una goccia

non fa più grande il mare né più bello.

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Di COSMA PANTALENA

Da “L’eternità breve” – LuoghInteriori

Foto: Rete

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