Cantico delle creature

San Francesco predica agli uccelli – Assisi

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Altissimu, onnipotente, bon Signore,

Tue so’ le laude, la gloria

e l’honore et onne benedizione.

Ad Te solo, Altissimo, se konfane,

e nullu homo ène dignu Te mentovare.

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Laudato si’, mi’ Signore,

cum tutte le Tue creature,

spezialmente messor lo frate Sole,

lo qual è iorno

et allumini noi per lui.

Et ellu è bellu e radiante

cum grande splendore:

de Te, Altissimo, porta significazione.

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Laudato si’, mi’ Signore,

per sora Luna e le stelle:

in celu l’ai formate

clarite e preziose e belle.

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Laudato si’, mi’ Signore,

per frate Vento

e per aere e nubilo

e sereno e onne tempo,

per lo quale a le Tue creature

dai sustentamento.

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Laudato si’, mi’ Signore,

per sor’Acqua,

la quale è multo utile et humile

e preziosa e casta.

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Laudato si’, mi’ Signore,

per frate Focu,

per lo quale ennallumini la notte:

et ello è bello e iocundo

e robustoso e forte.

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Laudato si’, mi’ Signore,

per sora nostra matre Terra,

la quale ne sustenta e governa,

e produce diversi frutti con coloriti fiori et herba.

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Laudato si’, mi’ Signore,

per quelli ke perdonano per lo Tuo amore

e sostengo infirmitate e tribulazione.

Beati quelli ke ‘l sosterrano in pace,

ka da Te, Altissimo, sirano incoronati.

Laudato si’, mi’ Signore,

per sora nostra Morte corporale,

da la quale nullu homo vivente po’ skappare:

guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali;

beati quelli ke trovarà ne le Tue santissime voluntati,

ka la morte secunda no ‘l farrà male.

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Laudate e benedicete mi’ Signore et rengraziate

e serviateli cum grande humilitate

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Il Cantico si svolge, nella sua struttura fondamentale, secondo i procedimenti parallelistici di tanta parte della Scrittura sacra (e particolarmente dei Salmi davidici). Purtuttavia, il Cantico ci offre alcuni elementi retorico-compositivi lontani dai testi biblici che sono alla radice del Cantico e lontani anche dagli scritti latini dello stesso Francesco che si riferiscono a quei testi biblici, come le Laudes e l’Officium Passionis.

In quei testi latini l’aggettivazione, talora numerosa, pertiene esclusivamente a Dio creatore, mentre le creature sono fittamente elencate, attraverso situazioni retoriche strutturate specialmente sul parallelismo aggiuntivo o oppositivo. Nel Cantico invece serie aggettivali fittissime si riferiscono alle creature: «la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta» (v. 16); «ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte» (v.19). Alle due quaterne di aggettivi, si aggiungano la terna aggettivale «clarite, et pretiose et belle» e finalmente la coppia «bellu et radiante» e ancora «diversi fructi con coloriti fiori» (si ricordi che «nubile» e «sereno» sono aggettivi sostantivati).

L’altro elemento decisamente lontano dalle fonti sono gli epiteti frate, sora attribuiti alle creature. La loro stessa insistenza, fino ad appellare la terra sora e matre, chiarisce l’atteggiamento di Francesco nei confronti della natura: un sentimento, cioè, di vicinanza con le creature in nome del legame della fratellanza; la natura sentita come una famiglia, come una comunità.

La fitta qualificazione delle creature (per di più in una realtà di fratellanza con l’uomo) rischia di apparire meramente glossatoria ove la lode sia interpretata come eseguita dalle creature o attraverso le creature. Con l’interpretazione causale, invece, l’indugio qualificante sulle creature manifesta tutta la sua funzionalità spiegando la ragione appunto di quella lode: sia lodato il Signore a causa della luna e delle stelle, in quanto luminose e preziose; a causa delle variazioni atmosferiche, attraverso cui il Signore dà sostentamento alle sue creature; a causa dell’acqua, in quanto utile, umile, preziosa e casta; e così via.

Delle creature insomma risalta il valore elementare, di supporto corporale all’uomo, e insieme il valore illuminante, di illuminazione anche spirituale: il tutto chiuso dalla «sora nostra morte corporale», che avvia all’incoronazione divina, attraverso il perdono in nome dell’amore di Dio, attraverso l’infermità e la tribolazione, serenamente sopportate.

La decisione di Francesco di usare il volgare nel Cantico va riportata, comunque si vogliano interpretare le fonti, all’ultimo anno (o all’ultimo biennio) della sua vita. L’assunzione alla scrittura della lingua parlata si presenta allora come una decisione di grande rilievo: la lingua scritta nuova in un testo così altamente teso, assunta proprio nel crepuscolo della vita, quando il santo era tormentato da infermità e malattie gravi e dolorose (si pensi alla ormai totale cecità), quando si era appartato dalla tumultuosa vita del movimento da lui stesso iniziato, esprime appunto la volontà di dire qualcosa di essenziale. Il Cantico appare essere un’ammonizione, un’esortazione, una santa orazione e devozione ai suoi più umili fratelli (e ai suoi primi fratelli), nel momento in cui l’Ordine procedeva, almeno in parte, su strade lontane dalle intenzioni originarie di Francesco.

IGNAZIO BALDELLI

Da “LETTERATURA ITALIANA” – La Biblioteca di Repubblica

Foto: Rete

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