Calipso: la tentazione dell’immortalità

 

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A prima vista meno pericolosa di Circe, Calipso, figlia di Atlante, è una ninfa benefica. Calipso non vuole trasformare Ulisse in porco, vuole sposarlo: per tenerlo sempre con sé, per averlo come marito, giunge a offrirgli l’immortalità.

Ma anche la sua, come quella delle Sirene, come quelle di Circe, è un’offerta pericolosa. Rinunziare alla propria umanità non è un bene, aspirare all’eternità significa abbandonare la ricerca di sé, essenza stessa della vita umana. Ulisse ben lo sa, e rifiuta. Ma questo non toglie che il suo incontro con Calipso lo distragga dai suoi obiettivi.

La ninfa figlia di Atlante, dice Omero, lo tiene con sé “con parole incantatrici” (logoi haimylioisi: Od., 1, 56): la stessa espressione usata da Esiodo per indicare una delle armi di cui si serve per sedurre gli uomini Pandora, “la trappola cui non si sfugge”.

Ulisse, insomma, resta presso Calipso perché sessualmente sedotto. Per questo ancora una volta egli dimentica patria, famiglia e ritorno: per un lungo periodo di tempo, la seduzione è troppo forte.

Poco importa quanti siano esattamente gli anni trascorsi a Ogigia: sette, come dice Omero? Cinque, come sostiene Apollodoro? Uno solo, come ritiene Igino? Poco importa, dicevamo: il rapporto con Calipso è una vera e propria relazione, come tale percepita dagli antichi. Sia la Teogonia, infatti (w. 1017-1018), sia il commento di Eustazio all’Odissea (16, 118) attribuiscono alla coppia due figli.

Lo stesso Omero, del resto, offre indizi in questo senso: seduto su un promontorio dell’isola Ogigia, egli dice, Ulisse guardava il mare e “consumava la vita soave / sospirando il ritorno, perché non gli piaceva più (ouketi) la ninfa” (Od., 5, 152-153).

Non gli piaceva più: dunque, gli era piaciuta. Per un consistente numero di anni. E anche se ormai la nostalgia della patria ha preso il sopravvento, Ulisse continua a non disdegnare i rapporti con Calipso: quando questa gli comunica che, non potendosi opporre all’ordine di Zeus, lo lascerà partire, Ulisse divide con la ninfa un pasto copioso (ovviamente, dal menu differenziato: lui mangia e beve “come i mortali si cibano”; per lei, che è di stirpe divina, ambrosia e nettare, Od., 5, 194-199), e quando il sole tramonta e l’ombra scende, i due

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entrando allora sotto la grotta profonda

l’amore godettero, stesi vicino uno all’altra.

(Od., 5, 226-227)

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Di nuovo, come nel caso di Circe, prima dell’addio Ulisse si concede un’ultima notte d’amore. Perché sorprendersene? Le seduttrici hanno le loro armi e sanno come, quando e dove usarle.

Il problema, dunque, è individuare queste seduttrici, in modo da difendersene. E anche a questo scopo che personaggi come Calipso, Circe e le Sirene entrano nella trama narrativa dell’Odissea. Ascoltando il racconto di come vivevano, di come si comportavano, i Greci imparavano a individuare le seduttrici, e a distinguerle dalle donne oneste, le loro mogli, le loro madri, le loro sorelle.

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Da “ITACA” , di Eva Cantarella – Feltrinelli

Foto: Rete

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