L’opera di oggi: VANGA E LATTE

Vanga e latte

 

 

L’autore

Dopo la laurea in lettere e gli studi presso l’Istituto di Belle Arti di Napoli, Teofilo Patini (Castel di Sangro, 1840 – Napoli, 1906) ottiene una borsa di studio che gli permette di soggiornare a Roma, dove studia i classici, e in particolare i maestri del Seicento, Esordisce con quadretti storici, preferendo poi la pittura di genere, per la quale si ispira alla terra natale e alla vita dei contadini e dei proletari. Tenta anche, con scarsa fortuna, i soggetti sacri e l’affresco.

L’opera

Patini inizia a lavorare a Vanga e latte nel 1883 e termina la tela nella primavera successiva, in tempo per inviarla all’Esposizione nazionale che s’inaugura a Torino a fine aprile, dove sarà acquistata dal Ministero dell’agricoltura. L’esecuzione en plein air del dipinto è particolarmente laboriosa per il pittore, che è costretto a interromperla durante la stagione invernale. Patini presenta la tela in coppia con L’erede, il primo dei dipinti della “trilogia sociale” che è completata nel 1886 con Bestie da soma.

L’erede

Le tre tele sono ispirate al mondo contadino, rappresentato nella prima dalla morte di un uomo che lascia la moglie in lacrime e il figlio neonato, erede di una condizione di vita che non si distacca di molto dalla mera sopravvivenza («erede di lavoro, di sofferenza e di miserie… che contiene in sé il germe delle grandi riforme sociali», secondo le parole dell’artista). Le Bestie da soma sono donne che scendono dai monti cariche di legna da ardere; un nucleo familiare è protagonista anche di Vanga e latte, salutato alla sua comparsa come la prosecuzione tematica dell’Erede.

 

Concetti chiave

  • oggetti realistici che descrivono la vita della famiglia
  • – impostazione rigidamente prospettica lungo un asse diagonale
  • – senso plastico del colore e materia cromatica mossa
  • – rappresentazione oggettiva della realtà con valore di documento storico
  • – dipinto interpretato come denuncia politica o distaccata riflessione

 

Bestie da soma

ANALISI

La rappresentazione della fatica degli umili

La famiglia di Vanga e latte è formata dalle figure essenziali, padre, madre e figlio, ritratte in aperta campagna: l’uomo è intento a vangare il terreno mentre la donna, interrotto momentaneamente il lavoro, si siede in terra e allatta il figlio neonato. In terra giacciono gli oggetti che compongono il quadro e descrivono la vita della famiglia: la culla e l’ombrello posto a ripararla, il basto, la piccola botte, il concio rosso e, sulla destra, la giacca, il cappello e il piatto di polenta con le due posate di legno; anche il cielo, visto dal basso, sembra poggiare pesantemente sulla terra, generosa solo di sterpi e stoppie.

I contadini, come osserva lo storico Jules Michelet a proposito dell‘Angelus di Millet, cui Vanga e latte è stato spesso ricondotto, sono impastati della terra che lavorano. Il vangatore anonimo incarna la fatica dell’umanità, ma la sua grandezza statuaria è priva di ogni retorica monumentale.

La donna, descritta con tenerezza nelle vesti logore, nell’oro all’orecchio che ne rischiara i tratti, nei gesti forti ma delicati, è una “Madonna del latte”, la cui forza è nell’accettazione

di un’esistenza di stenti e fatiche. Il bimbo succhia avidamente, con un’energia vitale che è il presupposto necessario delle lotte che dovrà combattere.

Autoritratto

 

Scansione geometrica e prospettica, luce e volume dei colori

 

Le figure sono disposte lungo una diagonale in fuga verso l’infinito, ribadita dal parallelismo delle braccia dei due contadini e dalla identica inclinazione che la donna, l’uomo e la vanga disegnano rispetto al piano: lungo questa diagonale si svolge la trama narrativa del quadro.

L’impostazione rigorosamente prospettica del dipinto, che degrada dalle nitide nature morte del primo piano alle zolle che increspano il terreno e alla costa montana segnata dalle prime nevi, riserva quasi metà della tela al cielo, che conferisce alla scena la limpidezza del primo mattino.

Patini da volume alle figure attraverso il colore, che assorbe in sé la luce e che ha fatto parlare, per Vanga e latte, di “caravaggismo all’aria aperta” (Ferdinando Bologna). La pennellata è ampia, con lievi chiaroscuri, come nelle gambe del bimbo, e punti in cui il colore si rapprende e diventa materico, come nelle stoppie in primo piano.

L’adesione sentimentale di Millet ai propri personaggi lascia qui il posto a un’interpretazione rigidamente oggettiva della realtà, che assume valore storico: una storia “minore” di piccoli eventi quotidiani, raccontata da protagonisti.

Vanga e latte riscosse subito un grande successo, sia per “la grandiosità e la semplicità delle linee”, sia per il soggetto, che sollevò accese discussioni. Il tema venne interpretato da subito come una presa di posizione a proposito della questione agraria, che a vent’anni dall’Unità d’Italia si aggravava sempre di più. In realtà in Vanga e latte la polemica cede il passo alla contemplazione pensosa della fatica primaria dell’uomo, il lavoro della terra, visto con un’ottica quasi distaccata, che rimanda al verismo di Giovanni Verga.

 

Da “Storia dell’arte” 3 –  Electa-Bruno Mondadori

Foto: RETE

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