Un libro per amico – FUGA DALLA LIBERTA’

 

La tesi di questo libro è che l’uomo moderno, liberato dalle costrizioni della società pre-individualistica, che al tempo stesso gli dava sicurezza e lo limitava, non ha raggiunto la libertà nel senso positivo di realizzazione del proprio essere: cioè di espressione delle sue potenzialità intellettuali emotive e sensuali. Pur avendogli portato indipendenza e razionalità, la libertà lo ha reso isolato e, pertanto, ansioso e impotente. Questo isolamento è intollerabile e l’alternativa che gli si presenta è la seguente: o sfuggire dal peso di questa libertà verso nuove dipendenze e sottomissioni, o progredire verso la piena realizzazione della libertà positiva che si fonda sull’unicità e sull’individualità dell’uomo. Benché questo libro sia una diagnosi piuttosto che una prognosi — un’analisi piuttosto che una soluzione — le sue risultanze possono influire sulla nostra azione futura. Infatti la comprensione dei motivi della fuga totalitaria dalla libertà è premessa ad ogni azione che miri alla vittoria sulle forze totalitarie.[…]

La storia moderna europea e americana si incentra nello sforzo di conquistare la libertà dalle catene politiche, economiche e spirituali che hanno avvinto gli uomini. Le battaglie per la libertà sono state combattute dagli oppressi, da coloro che aspiravano a nuove libertà, contro quelli che avevano privilegi da difendere. Combattendo per la propria liberazione dalla tirannia, ogni classe credeva di combattere per la libertà in sé, e così poteva fare appello ad un ideale, al desiderio di libertà radicato in tutti gli oppressi. Tuttavia, nella battaglia lunga e praticamente continua per la libertà, le classi che in un determinato momento storico combattevano contro l’oppressione si mettevano dalla parte dei nemici della libertà allorché la vittoria era assicurata e c’erano nuovi privilegi da difendere.

Nonostante i molti rovesci, la libertà ha vinto delle battaglie. In queste battaglie molti sono morti con la convinzione che morire nella lotta contro l’oppressione fosse meglio che vivere senza libertà. Una morte di questo genere era la suprema affermazione della loro individualità. La storia pareva dimostrare che l’uomo era in grado di governarsi, di prendere decisioni autonome e di pensare e sentire come meglio credeva. La piena espressione delle potenzialità dell’individuo sembrava essere la meta a cui si stava rapidamente avvicinando lo sviluppo sociale. I princìpi del liberalismo economico, della democrazia politica, dell’autonomia religiosa e dell’individualismo nella vita personale, esprimevano il desiderio di libertà e al tempo stesso sembravano avvicinare gli uomini alla sua realizzazione. Una dopo l’altra, le catene cadevano. L’uomo aveva rovesciato il dominio della natura diventandone il dominatore; aveva rovesciato il dominio della Chiesa e il dominio dello stato assolutistico. L’abolizione del dominio esterno pareva la condizione necessaria e sufficiente per raggiungere la meta desiderata: la libertà dell’individuo.

La Grande Guerra fu considerata da molti l’ultima lotta e nella sua conclusione si vide la vittoria definitiva della libertà. Le vecchie democrazie apparivano rafforzate, e nuove democrazie sostituivano le vecchie monarchie. Ma erano passati solo pochi anni quando emersero nuovi sistemi che negavano tutto ciò che gli uomini credevano di aver conquistato in secoli di lotta. Infatti l’essenza di questi nuovi sistemi, che si impadronirono efficacemente dell’intera vita sociale e personale dell’individuo, era la sottomissione di tutti, salvo un pugno di uomini, ad un’autorità sulla quale non avevano alcun controllo.

Dapprima molti si confortarono col pensiero che la vittoria del sistema autoritario era dovuta alla follia di pochi individui, e che questa loro follia li avrebbe condotti a tempo debito alla rovina. Altri ritenevano con sufficienza che il popolo italiano, o quello tedesco, non avessero avuto abbastanza tempo per educarsi alla democrazia, e che perciò si poteva attendere tranquillamente il momento in cui avrebbero raggiunto la maturità politica delle democrazie occidentali. Un’altra comune illusione, forse la più pericolosa di tutte, era la credenza che gli uomini come Hitler avessero conquistato il potere sull’immenso apparato statale soltanto con la furberia e l’inganno, che essi e i loro satelliti governassero in virtù della pura e semplice forza; che l’intera popolazione fosse solo l’oggetto privo di volontà del tradimento e del terrore. Durante gli anni trascorsi da allora fino ad oggi, la fallacia di queste tesi è diventata manifesta. Siamo stati costretti a riconoscere che in Germania milioni di persone erano ansiose di cedere la loro libertà quanto i loro padri lo erano stati di combattere per conquistarla; che invece di volere la libertà, cercavano modi di evaderne; che altri milioni di persone erano indifferenti e non credevano che valesse la pena di combattere e morire per difendere la libertà. Riconosciamo inoltre che la crisi della democrazia non è problema peculiarmente italiano o tedesco, ma è problema di ogni stato moderno. E non importa quali simboli scelgano i nemici della libertà umana: si può minacciarla attaccandola in nome del fascismo dichiarato come sotto la copertura dell’etichetta dell’antifascismo. Questa verità è stata formulata da John Dewey tanto bene che mi piace esprimere il pensiero con le sue parole:

«La vera minaccia per la nostra democrazia, egli afferma, non è l’esistenza di stati totalitari stranieri. È l’esistenza, nei nostri atteggiamenti i personali e nelle nostre istituzioni, di condizioni che in paesi stranieri hanno dato la vittoria all’autorità esterna, alla disciplina, all’uniformità e alla sottomissione al Capo. E quindi il campo di battaglia è anche qui: in noi stessi e nelle nostre istituzioni».

Se vogliamo combattere il fascismo dobbiamo comprenderlo: l’ottimismo non ci aiuterà. E la recitazione di formule ottimistiche si dimostrerà inadeguata e inutile come il rituale di una danza indiana della pioggia.

ERICH FROMM

 

Da “Fuga dalla libertà”, di Erich Fromm – Mondadori

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