Viaggio nelle parole: OPERAIO

OPERAI DELL’ARGENTINO ALLA SEGHERIA  – Foto: Chiara Ruggiero

OPERAI

Scrive Luciano Gallino nel suo “DIZIONARIO DI SOCIOLOGIA”

“Classe di lavoratori dipendenti, addetti quasi esclusivamente a operazioni manuali o con rilevante contenuto manuale per la produzione di beni materiali, che non possedendo propri mezzi di produzione né altri mezzi di sostentamento (poderi, risparmi, rendite), vive vendendo la propria forza lavoro, come fosse una merce, a singoli imprenditori o aziende industriali, in cambio di un salario, sulla base di un «contratto» individuale o collettivo.

In alto a sx Gennarino Candia

Tranne i casi assai rari di reale autogestione  questo contratto vincola di norma gli operai a eseguire le operazioni loro affidate in modo interamente subordinato, senza alcun diritto di intervenire nella concezione e programmazione del loro stesso lavoro, nell’uso dei mezzi di produzione previsto dalla direzione aziendale, e in genere nelle modalità di impiego della propria forza lavoro, salvo i limiti eventualmente posti da apposite clausole riguardo alla durata giornaliera, settimanale o annuale del lavoro, alla mobilità degli operai da un posto all’altro, e a certe condizioni dell’ambiente di fabbrica. (Gallino “DIZIONARIO DI SOCIOLOGIA” – UTET)

L’operaio oggi è il legno di un naufragio, la desolazione dopo una sconfitta.

Il silenzio.

Nessuno parla per lui, nessuno si accorge delle sue fatiche nel portare avanti un’esistenza spenta ad ogni opportunità.

E l’aggressione continua.

Negli ultimi trent’anni  i padroni della sua vita l’hanno spogliato di tutto:  diritti, possibilità, protezioni. Perfino le parole che lo nominavano e ne scandivano i desideri e gli affanni sono scomparse.

E quei sogni (solidarietà, giustizia sociale, diritti, dignità…) che, tornato dall’inferno della guerra, aveva cominciato a coltivare nelle lotte, nei sindacati, nei partiti?

Scheletri in discariche abbandonate. Neanche una croce ne segnala il ricordo, perché la Chiesa ha altro a cui pensare.

È  stato immolato sull’altare del profitto , con quanto gli apparteneva.

Oggi non si ha pudore nell’umiliarlo.

La crisi?

È figlia dei suoi diritti, dei suoi ritmi di lavoro, del suo salario, della sua pensione, della sua salute, del suo desiderio di far studiare i  figli.

Ed ecco imporgli contratti a termine, cancellazione di ogni tutela, tassazione violenta (Il 38,3 per un lavoratore con 2 figli – 47,6 se singolo -,  contro il 20% dei guadagni in borsa –  fino al 2011 era addirittura il 12,5- ).

Barbarie.

Foto: RETE

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