“La Repubblica” fa finta di stupirsi che ogni giorno in Italia scompaiano un centinaio di negozi, bar e ristoranti. Colpa delle tasse, afferma, o della stretta del credito. Invece è il liberismo, bellezza. Sono gli effetti, previsti e prevedibili, della deregolamentazione, che da Reagan in poi ha distrutto il piccolo commercio americano (“Main Street”) a vantaggio delle grandi corporation (“Wall Street”) e che Renzi sta importando nel nostro paese a tappe forzate per completarla prima che la gente si renda conto che non solo non funziona ma comincia a scricchiolare.
Uno dei punti di forza del nuovo populismo di Bernie Sanders e di Jeremy Corbyn è infatti la difesa delle piccole e medie imprese. Ma i pagatissimi corrispondenti dei giornali italiani a New York o a Londra si guardano bene dal farlo sapere. Così le anime belle della sinistra continuano ad accontenarsi di salvarsi l’anima con un antifascismo vecchio di decenni invece di riconoscere e affrontare il nuovo nemico: le multinazionali e il loro partito, il Pd. Vi ritroverete con qualche decina di catene commerciali e nient’altro, gli stessi negozi ovunque (più grossi ma in minor numero), che vendono le stesse cose impiegando precari pagati pochissimo per accrescere i margini di profitto degli investitori stranieri.
A molti italiani piace: infatti vanno da Grom anche se un cono costa il doppio che in una gelateria artigianale ed è pure peggiore; e vedrete che quando la pubblicità avrà preparato il terreno preferiranno correre da Starbucks a bersi un caffè industriale invece che un espresso senza logo nel bar sotto casa. Nei mega centri commerciali invece ci vanno per risparmiare pochi euro: indifferenti al fatto che ricevono prodotti scadenti e un servizio mediocre e soprattutto che stanno così affondando la classe media di cui la gran parte di loro fa parte. Come definire il fenomeno? Auto-rottamazione? Pulsione autodistruttiva? Rincoglionimento collettivo?
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