ORSOMARSO – La pala d’altare di San Michele Arcangelo di Colimodio

 

L’inizio della produzione artistica di Giovanni Battista Colimodio in Calabria è attestabile a partire dal 1649, quando firma e data la pala d’altare affrescata raffigurante San Michele Arcangelo fra i santi Sebastiano e Lucia per l’altare collocato in un ambiente che collega il presbiterio alla sacrestia della chiesa del Santissimo Salvatore di Orsomarso.

Il pittore è legato particolarmente a questo edificio — nei documenti del Seicento Chiesa Matrice — e ciò si deduce da una serie di ragioni: egli lo frequentò fin da fanciullo perché la casa paterna era sita nelle sue vicinanze e perché negli ultimi mesi del 1626 vi fu sepolto suo padre Francesco Antonio. Questo legame è ancora più significativo nel 1649, in quanto tra i sacerdoti reggenti il clero del Santissimo Salvatore figuravano Filippo Salomone e Carlo Colimodio, rispettivamente zio materno e fratello minore di Giovanni Battista (17).

Potrebbero essere queste conoscenze il motivo della commissione a Colimodio del dipinto in questione; infatti, entrambi i sacerdoti, avendo in ‘casa’ un pittore capace e per di più con il prestigio ‘curriculare’ di un perfezionamento a Napoli, potevano averlo preferito rispetto ad altri pittori del tempo operosi sul territorio(18).

Le informazioni sull’affresco pubblicate dagli studiosi calabresi, prima che fosse rilevata la firma del pittore(19), risultano poco chiare. Alfonso Frangipane nella disamina relativa alle chiese di Orsomarso non riporta l’affresco e segnala, invece, la presenza nella chiesa di San Giovanni Battista — e non in quella del Santissimo Salvatore dove è allogato l’affresco — di una «Cartagloria decorata di pitture: S. MICHELE ARCANGELO E SANTI, dipinto in cornice dell’epoca firmato dal pittore locale Colimodio»(20); in seguito, sulla scia di quanto asserito dal Frangipane, Emilio Barillaro(21) menziona l’opera come un dipinto realizzato olio su tela. Ad oggi non si ha traccia alcuna di un simile dipinto, mentre con questo soggetto è realizzato l’affresco del Santissimo Salvatore.

Da queste interpretazioni è possibile enucleare due ipotesi: che il dipinto e l’affresco siano la stessa opera e siano stati confusi con un errore nella localizzazione dell’opera, più che nella definizione del soggetto, oppure che Frangipane e Barillaro ricordino un’opera oggi andata perduta.

L’affresco è correttamente citato nella chiesa del Santissimo Salvatore e datato al Seicento, senza alcun accenno all’autore, nell’edizione del 1980 delle Guide d’Italia, del Touring Club Italiano(22); tali informazioni saranno ripetute da Luigi Bilotto nella sua Guida della provincia di Cosenza edita nel 1996(23).

Ad ogni modo, l’affresco raffigurante San Michele Arcangelo fra i santi Sebastiano e Lucia, come risulta, è al momento l’unica opera firmata dal pittore, con il solo cognome, e datata 1649 quando il suo linguaggio artistico era certamente ben definito. La composizione è armoniosa e mostra quanto i riverberi dell’arte partenopea siano intensi per Colimodio che dispone i sacri personaggi all’interno di un’architettura dipinta a guisa di arco di trionfo.

Al centro due colonne lisce, impostate su plinti e culminate da capitelli diversificati da decorazioni a foglie d’acanto e raffinate volute, delimitano una nicchia in cui l’arco a tutto sesto è segnato in chiave da una testa d’angelo alata; in questo spazio domina la poderosa figura di san Michele Arcangelo nell’atto di sconfiggere un torvo Satana.

Sul plinto della colonna a sinistra è dipinto un cartiglio dove è scritto il prologo del Vangelo di Giovanni, e, ali’ultimo rigo, le informazioni circa la realizzazione: «Ursomarsij Typus Collemodij 1649». Lo spazio centrale si protende leggermente in avanti rispetto a quello laterale bipartito da riquadri e nicchie, più piccole rispetto a quella centrale, dove sono inseriti i santi Sebastiano e Lucia, rispettivamente a sinistra e a destra. Una cornice dentellata corre sotto l’attico aggettante abitato da putti che allungano in basso un nastro a encarpi che da l’impressione di oscillare sui due riquadri sottostanti.

Il san Michele Arcangelo è chiaramente la figura predominante, sovrasta fiero il maligno che con il ventre a terra si arrende al suo avversario; la resa anatomica è intensa e vigorosa, le grandi ali sono spiegate e i muscoli delle braccia e dell’addome possenti e definiti, quasi a contrastare la dolcezza emanata dal viso, caratterizzato da una vibrante chioma di riccioli biondi che fuoriescono dall’elmo e ricadono sulle spalle. Con la mano sinistra tiene la bilancia, suo attributo iconografico, e con la destra impugna saldamente la spada. Giovanni Battista fa in modo che i due personaggi centrali si distacchino dallo spazio che li contiene, per accrescere l’impeto del colpo finale e catturare, al contempo, l’attenzione del fedele.

L’immagine di san Sebastiano è fortemente compromessa per lo stato di conservazione. Da ciò che rimane visibile, un corpo seminudo e ferito con il braccio sinistro proteso in alto e legato con un laccio, si riconosce il Santo, rappresentato, come canonico, durante l’esecuzione del martirio avvenuto mediante le frecce. Decisamente più limpida è invece la figura di santa Lucia, avvolta in un morbido panneggio dalle tinte dalle tonalità calde, veste rossa e drappo giallo. La Santa rivolge il suo sguardo verso il fruitore, preme la mano destra sul cuore mentre con la sinistra regge la palma del martirio ed il libro, su cui ardono come due fiammelle gli occhi, simbolo del suo martirio.

La peculiare adozione  iconografica di dipingere gli occhi poggiati sul libro, e non nel piatto come di consueto per l’immagine di Lucia, rimanda a celebri prototipi partenopei, come la Santa Lucia di Francesco Guarino della collezione Banca Carime di Cosenza(24) e, ancora, in quella assegnata a Bernardo Cavallino in collezione privata a Parigi(25) e di cui Giovanni Battista Colimodio manifesta, nel suo affresco, di non essere immune.

I santi Sebastiano e Lucia sono di dimensioni minori rispetto a san Michele Arcangelo, titolare dell’altare, accorgimento gerarchico che li fa apparire cristallizzati, quasi piccole sculture policrome sistemate in una nicchia.

Durante l’intervento di restauro sull’affresco(26), attuato principalmente per ovviare alle precarie condizioni conservative, determinate perlopiù dall’umidità delle pareti che ha causato cadute del colore in alcune parti, sono emersi alcuni dati molto interessanti che riguardano la tecnica impiegata per la sua realizzazione, lo spolvero, ma anche il recupero di particolari sul margine inferiore dell’affresco, attraverso la rimozione dei gradini del dossale con tabernacolo centrale che li occultava, come il crocifisso dipinto davanti al libro aperto che, verosimilmente, doveva coronare il tabernacolo seicentesco dell’altare.

Le peculiarità del pittore sono riscontrabili sia nel disegno sia nell’accurato studio del chiaroscuro; sulla colonna di sinistra riporta l’ombra del braccio proteso dell’Arcangelo e con la stessa minuzia proietta quelle prodotte dal crocifisso sul libro aperto retrostante e, ancora, l’ombra generata dal nastro tenuto dai putti che segna le modanature della trabeazione. Il pittore, rispettando la naturale irradiazione della sala in cui sulla parete di fianco all’altare si apre una finestra, cura con particolare evidenza la ricaduta della luce sul rosso della veste di Lucia, impiegando sulle parti più esposte una tonalità visibilmente chiara e brillante.

Il recupero della lezione classica, palesata nel complesso degli elementi architettonici dipinti(27), esplica stilemi che Colimodio recepisce a Napoli, muovendosi tra espressioni naturalistiche ed enfasi classiciste, che per il pittore potrebbe rappresentare quella sorta di ritorno al passato avvenuto anche nell’arte di Artemisia Gentileschi. Le adesioni verso i paradigmi pittorici sviluppati a Napoli si apprezzano nella resa del panneggio, tangibili nella preziosità della veste di Lucia e, ancora, nella naturalezza dei visi che collimano con le scelte adottate sul palcoscenico napoletano da Artemisia e da quei pittori a lei vicini come Bernardo Cavallino.

 

NOTE

16 R. LATTUADA, Artemisia a Napoli cit., p. 381.

17 Per le informazioni relative ai due sacerdoti si veda quanto scritto nel capitolo 1.

18 A. PINCITORE, Giovanni Battista Colimodio (Orsomarso, 1610 circa —1669* post), in G. Leone, Primi piani cit., pp. 76-85 (pp. 77-78).

19 G. LEONE, Luci e ombre cit., p. 54.

20 A. FRANGIPANE, Inventario cit., p. 208.

21 E. BARILLARO, Calabria: guida artìstica e archeologica, Cosenza 1972, p. 193.

22 Basilicata e Calabria, (‘Guida d’Italia del Touring Club Italiano’21), Milano 1980, p. 458.

23 L BILOTTO, La Provincia di Cosenza: una guida; Storia, arte e tradizioni popolari, Mendicino 1996, p.67.

24 II dipinto Santa Lucia forma un elegante pendant con la Sant’Arnese. Le tele realizzate da Francesco Guarino sono databili al 1645 circa e fanno parte della collezione della Banca Carime; attualmente sono esposti nelle sale della Galleria Nazionale di Palazzo Arnone a Cosenza: cfr. R. LATTUADA, Francesco Guarino, Sant’Agnese, Santa Lucia, in R. Vodret (a cura di), Capolavori del Seicento e del Settecento della collezione Banca Carime, [Catalogo della mostra (Cosenza: 2003)], Cinisello Balsamo 2003, pp. 30-33 (schede 8-9) con bibliografia precedente.

25 La Santa. Lucia si colloca nel pieno della maturità artistica di Bernardo Cavallino e viene datata verso il 1650 da N. SPINOSA, Santa Lucia, in N. Spinosa, Grazia e tenerezza ‘in posa’. Bernardo Cavallino e il suo tempo 1616-1656, Roma2013, p. 350 (scheda 85)

26 II restauro dell’affresco è stato eseguito da Silvia Cerio nel 1999-2000.

27 L’affresco, tramite le qualità plastiche dell’architettura dipinta, venne interpretato come opera di un pittore anonimo formatosi sui trattatisti del Cinquecento da G. DE MARCO, La pittura del Rinascimento in Calabria: contesti e linguaggi-, in S. Valtieri (a cura di), Storia della Calabria nel Rinascimento: le arti nella storia, Roma 2002, pp. 1093-1134 (pp. 1125-1126), nonostante Giorgio Leone avesse già reso nota la firma di Colimodio sull’affresco e valutato le relazioni di questa pittura con gli svolgimenti artistici della Napoli di metà Seicento: G. LEONE, Luci e ombre cit., p. 54; IDEM, Giovan Battista Colimodio, S. Tommaso d’Aquino in estasi (scena da ciclo iconografico raffigurante L’Eterno Padre e otto santi), Orsomarso (Cosenza), Chiesa di S. Giovanni Battista, presbiterio, volta, in G. Leone (a cura di), Pange Lingua: l’Eucaristia in Calabria.; Storia Arte Devozione, Catanzaro 2002, p. 337 (scheda XLI). Di recente inoltre è stato considerato come prova di una possibile attività di Giovanni Battista Colimodio nel campo dell’architettura di completamento decorativo da M. PANARELLO, Fanzago e fanzaghianiin Calabria: il circuito artistico nel Seicento tra Roma, Napoli e la Sicilia, Soveria Mannelli 2012, p. 491.

 

Fonte: A. PINCITORE, Giovanni Battista Colimodio,  Ferrari editore

 

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