Passioni

 

A lungo le passioni sono state condannate come fattore di turbamento o di perdita temporanea della ragione. Segno manifesto di un potere estraneo alla parte migliore dell’uomo, lo dominerebbero, distorcendone la chiara visione delle cose e sviandone la spontanea propensione al bene. Agitato, lo specchio d’acqua della mente si intorbiderebbe e si incresperebbe, cessando di riflettere la realtà e impedendo al volere di scorgere alternative alle inclinazioni del momento.

Obbedire all’imperioso richiamo degli impulsi, arrendersi alle lusinghe sinuose dei desideri significherebbe abbandonarsi inermi a stati d’animo imprevedibili e contraddittori, rinunciare alla libertà, alla consapevolezza e all’autocontrollo a beneficio di un padrone interiore più esigente di quelli esterni.

Di fronte alle molteplici strategie elaborate per estirpare, moderare o addomesticare le passioni (e, parallelamente, per conseguire la signoria su se stessi, rendendo coerente l’intelligenza, costante la volontà, robusto il carattere) pare tuttavia lecito chiedersi se l’opposizione ragione/passioni sia in grado di render conto dei fenomeni a cui si riferisce e se sia giusto, in generale, sacrificare le proprie ‘passioni’ in nome di ideali che potrebbero essere veicolo di immotivata infelicità.

[…] Alla loro base si rinviene l’assunto per cui le passioni rappresentano “alterazioni” di uno stato altrimenti neutro e non perturbato dell’animo o della abituale composizione degli “umori” nel carattere di ciascun individuo. Si confonde così quello che è semmai il risultato storico di sforzi tesi all’imparzialità e alla tranquillità dell’animo con una premessa naturale.

Nulla impedisce tuttavia di pensare le “passioni” (emozioni, sentimenti, desideri) quali stati che non si aggiungono dall’esterno a un grado zero della coscienza indifferente, per intorbidarla e confonderla, ma che sono costitutivi della tonalità di qualsiasi modo di essere psichico e persino di ogni orientamento cognitivo. Perché non concepirle dunque — al pari della musica, che unisce la più rigorosa precisione matematica alla più potente carica emotiva — come forme di comunicazione totalmente ‘accentuata’, linguaggi mimati o atti espressivi che elaborano e trasmettono, nello stesso tempo, messaggi vettorialmente orientati, modulati, articolati e graduabili nella direzione e nell’intensità?

Le passioni approntano, conservano, memorizzano, rielaborano  ed esibiscono i ‘significati reattivi’ più direttamente attribuiti a persone, cose, eventi dai soggetti che le esperiscono entro contesti determinati, di cui evidenziano forme e metamorfosi. Lasciano in realtà che sia la “ragione” stessa — a posteriori  presentata come provvisoriamente travolta o sedotta — a stabilire l’obiettivo e il raggio della loro azione, individuando gli oggetti su cui riversarsi, misurando il punto in cui arrestare l’impeto, dosando la virulenza di atteggiamenti dissipativi.

Dall’eventuale verifica di una simile ipotesi potrebbero discendere alcune importanti conseguenze. Verrebbe, in particolare, incrinata l’idea di una energia intimamente opaca e incolta da asservire e disciplinare. La passione apparirebbe in tal modo come l’ombra della ragione stessa, come un costrutto di senso e un atteggiamento già intimamente rivestito di una propria intelligenza e cultura, frutto di elaborazioni millenarie, mentre la ragione si rivelerebbe, a sua volta, ‘appassionata’, selettiva e parziale, complice di quelle medesime passioni che dice di combattere. Si scoprirebbe così l’inadeguatezza del concetto di passione intesa come mero accecamento. Ciò renderebbe meno plausibile tanto la sua demonizzazione, quanto il conseguente appello all’esorcismo e all’asservimento di essa (simmetricamente, però, anche la sua esaltazione  come opposto speculare della ragione). Diventerebbero pertanto sfocate e parzialmente inattendibili le ricorrenti, austere figure della ragione quale “auriga”, “pastore”, domatore ed educatore delle passioni (dell’anima e del corpo, dello spirito e della carne).

Presupporre energie selvagge e brancolanti nel buio (“passioni”), che dovrebbero essere dirette e tenute a freno da un’istanza ordinatrice illuminata (“ragione”), significa infatti spesso prefigurare un alibi polemico per reprimerle o canalizzarle. Decretandone la pericolosità e l’incapacità a guidare se stesse,  negando loro un intrinseco orientamento e discernimento, si legittima automaticamente la liceità di delegare all’inflessibile potenza imperiale o alla persuasiva severità paternalistica della “ragione” interventi esterni di censura e di tutela correttiva.

Se proprio si vuoi restare nell’ambito concettuale di una dualità tra ragione e passioni, bisognerebbe almeno — lasciando ai tempi lunghi l’elaborazione di un nuovo lessico e di una nuova sintassi delle loro relazioni — abbandonare l’immagine di questo rapporto come arena dello scontro fra logica e assenza di logica (fra ordine e disordine, trasparenza e oscurità, legge e arbitrio, unità monolitica della “ragione”, che non è altro che il nome per una famiglia di strategie differenti, e pluralità delle passioni). Si potrebbe interpretare questo rapporto, semmai, quale conflittualità tra due logiche complementari, che operano secondo lo schema del “né con te, né senza di te”. Legate da una solidarietà antagonistica, esse opererebbero secondo strutture d’ordine funzionalmente differenziate e incongruenti, giustificabili (ciascuna al rispettivo livello) in riferimento a principi propri, dalla cui contrapposizione rispetto a quelli della ragione nascono le zone di opacità dell’intelligenza, i nodi e le fluttuazioni del volere, assieme al senso di ineluttabile passività, di azione preterintenzionale e di involontaria impotenza che sembrano definire la “passione”. Conoscere le passioni non sarebbe altro che analizzare la ragione stessa ‘contro pelo’, illuminandola con la sua stessa ombra presunta.

 

Fonte: Remo Bodei, “Geometria delle passioni”, Feltrinelli

 

Un bel libro. Si legge con profitto e diletto

 

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