La vite è una pianta che richiede molta cura. E non sempre il raccolto è garantito. Basta niente per perdere mesi di lavoro.
Settembre è tempo di vendemmia.
È un lavoro che si fa in gruppo e, oltre alla stanchezza, procura momenti di convivialità e di allegria, soprattutto a chi il companatico se lo guadagna altrove.
Questi volti, che appartengono al nostro passato, ci raccontano, invece, la fatica di chi nei campi consumava i suoi giorni per procurarsi il necessario.
Tempo fa ho pubblicato una leggenda sull’origine del vino calabrese. Ve la ripropongo, perché è molto bella.
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La leggenda del vino di Calabria
Ci fu un tempo in cui la vite era una semplice pianta ornamentale: non produceva né fiori né tanto meno frutti.
Venne la primavera e il contadino decise di tagliarla:
«Questa pianta dà ombra ai seminati – disse – la ridurrò più piccola che sia possibile».
Detto fatto: il contadino la potò così energicamente che della verde pianta non rimasero che pochi rami nudi e corti.
La vite pianse. Un usignolo ebbe pietà di lei:
«Non piangere – disse – io canterò per te e le stelle si muoveranno a compassione».
Volò sui poveri rami tronchi, vi si afferrò con le zampette e, giunta la notte, cominciò a cantare tanto dolcemente che la vite si sentì via via rinascere. Per dieci notti, le note trillanti salirono verso le stelle, finché esse si commossero e fecero discendere un po’ della loro forza sulla povera pianta mutilata. Allora la vite sentì scorrere in sé una linfa nuova; i suoi nodi si gonfiarono, le sue gemme si aprirono.
I primi pampini verdi fremettero alla brezza e tenui riccioli verdi, i viticci, si allungarono per avvolgersi, come una delicata carezza, intorno alle zampine dell’uccellino.
Quando l’usignolo volò via, già gli acini del primo racimolo cominciavano a dorarsi alla luce dell’alba. La vite era diventata una pianta fruttifera.
E che pianta!
Il suo frutto possedeva la forza delle stelle, la dolcezza del canto dell’usignolo, la luminosa letizia delle notti estive.
FONTE: CalabriaOnLine
Foto RETE