MITI – Demetra e la nascita delle stagioni

Zeus e Demetra

Demetra è una grande figura divina femminile che comprende la paradossale verginità e maternità. Ella, se da un lato può denotare la pienezza della figura femminile divina, dall’altro e più convincentemente sta a connotare una resistenza culturale nei confronti del sesso.

La narrazione mitica del rapimento-liberazione-riscatto di Persefone – Kore e il nucleo fondamentale dei Misteri Eleusini propongono notevoli e profondi problemi interpretativi. Innanzitutto Demetra non è facilmente riconducibile a una ipostasi della Grande Dea Cosmica, ma piuttosto rivela una estrema e indubbia identificazione con la Terra Madre, la terra coltivata, di cui il suo mito sembra costituire una simbologia allegorica facile da decodificare.

La figura di Kore-Demetra costituisce un paradigma, specie nell’ambito delle culture dedite alla coltivazione, dove l’esperienza del ciclo della vegetazione si riflette nel mitema di una fanciulla divina vergine e sposa di un dio infero.

Occorre sottolineare che il legame che unisce Kore a Demetra è n’identità.Esse sono due aspetti dell’unica e universalmente grande figura femminile, che si rivela nello stesso tempo fanciulla/donna e vergine/madre, in un’ambivalenza paradossale.

Terracotta raffigurante Demetra e Persefone proveniente da Myrina (Asia Minore), risalente al 180 a. C.,

La vecchia, il cui aspetto denunciava l’angoscia di gravi torti subiti, seguiva con stanchezza e indifferenza le quattro «care figliole» che avevano notato la sua solitudine e l’avevano aiutata. Erano state davvero gentili a reoccuparsi dell’anziana e grinzosa donna seduta sull’orlo della strada, presso la sacra fontana, dove erano andate ad attingere l’acqua in anfore di bronzo. Le quattro fanciulle erano le figlie di Celeo, re di Eleusi, e alla freschezza della loro giovane età, univano grazia e bontà non comuni. Si erano subito rammaricate per la povera vecchia e avevano voluto averne cura, portandola a palazzo e proponendo di assumerla come governante.

La forestiera giunse nella dimora di Celeo abbigliata a lutto, con il viso coperto e la lunga veste nera. Ad attenderla era Metanira, sposa di Celeo, che teneva fra le braccia l’ultimo nato, Demofoonte. Nel momento in cui varcava la soglia regale, la triste e laida vecchia manifestò — in dimensioni e luminosità sovrumane — la sua natura divina. La potenza numinosa che la sprigionava, produsse fra gli astanti venerazione, sbalordimento e sacro terrore.

Metanira, spaventata e incredula, si affrettò a cederle il trono, ma Demetra rifiutò. Una delle serve, Iambe, le offrì allora uno sgabello su cui riposarsi. Sola, immobile e trafitta dalla dolorosa piaga del ricordo di sua figlia Persefone, la dea si rinchiuse in una muta e totale tristezza. Non riusciva a dimenticare le urla strazianti della bellissima fanciulla, che un destino infausto le aveva strappato.

BERNINI – Ades rapisce Persefone

Persefone stava giocando con le figlie di Oceano, in un bosco pieno di fragranze e di fiori, quando Ades aveva fatto improvvisamente sbocciare un magnifico narciso. Stupita e piacevolmente meravigliata, la divina fanciulla si apprestava a cogliere quel fiore, quando la terra immediatamente si spalancò e dalla voragine balzò Ades, sul nero cocchio tirato dagli immortali cavalli. Il Re degli Inferi — a cui Zeus per rispetto fraterno non aveva potuto negare il permesso del ratto — rapì l’indocile fanciulla piangente, alla quale a nulla valsero strepiti e grida.

Le sue invocazioni si rivolgevano invano a Zeus suo padre, ma furono udite da Écate e da Helios, lo splendido figlio di Iperione e di Theia. Quando Demetra le ascoltò, fu lacerata da un acuto tormento. Iniziò a cercare l’amata figlia disperatamente, ma nessuno, né uomo né nume, voleva aiutarla. Nella sua veste oscura volò per mare e per terra, fino a quando — dopo nove giorni e nove notti — il grande dio Sole, «eterno occhio veggente», non le svelò il nome del rapitore.

L’irritazione e la delusione della dea divennero bisogno violento di vendetta. La sua inconsolabile pena la portò a rifiutare la dimora in Olimpo e a vagabondare senza sosta sulla terra, fino a quando, sotto mentite spoglie, era arrivata a Eleusi.

L’accoglienza reverenziale della famiglia reale eleusina la lasciava completamente indifferente. Non volle accettare né vivande né conforto e continuava a estraniarsi penosamente nel dolore della figlia rapita.

Ma la vecchia Iambe, con lazzi osceni e parole argute, riuscì a rasserenare il volto della grande dea e a farla infine ridere di gusto quando, alzando le vesti, le mostrò la vulva. Metanira, rassicuratasi dei buoni risultati della vecchia serva, offrì una coppa di vino dolce che però Demetra rifiutò, essendo in lutto. Gradì invece una tisana di orzo e menta e l’offerta di prestare servizio come nutrice del piccolo Demofoonte.

La dea accudiva il neonato con amore, ungendolo d’ambrosia e immergendolo tutte le notti nelle fiamme di un sacro fuoco, per renderlo immortale.

Demetra e Metanira, dettaglio di un’idria apula a figure rosse

Una notte Metanira si accorse di quanto accadeva al figlioletto e, con irruenza e inopportunità intervenne. Demetra s’infuriò, lasciò cadere il bambino al suolo e riprese le sembianze divine. Era magnifica nella sua immortale bellezza, ma fu durissima contro la limitatezza mentale dei mortali. Svelò la sua identità, chiese ammenda per i torti subiti e ordinò la costruzione di un tempio per il suo culto.

Oltre al rifiuto di tornare in Olimpo, la grande dea delle messi aveva impedito la crescita dei germogli. L’esilio volontario di Demetra aveva comportato una terribile carestia: la terra era sterile, il lavoro dei buoi e degli aratri era inutile e tutto il genere umano soffriva la fame. Zeus stesso non sapeva cosa fare. Aveva già inviato Iris, la messaggera dei numi, a richiamare Demetra, ma questa fu irremovibile. Aveva poi mandato una delegazione di dei olimpi affinché le offrissero magnifici doni, ma anche questa iniziativa fu un fallimento.

All’eccelso Cronide non restava che rivolgersi ad Ades. Fu incaricato Ermes che scese negli Inferi e, con dolci parole, persuase il dio della non esistenza a lasciar andare Persefone, affinché la madre placasse la sua ira e la sua vendetta. Ades, il dio dai riccioli scuri, non sembrò dispiaciuto della richiesta né molto affranto dalla dipartita della giovane sposa. Infatti, egli con un sorriso la aiutò anche a salire sul carro di Ermes. Ma il Re degli Inferi le aveva precedentemente offerto un chicco di melograno che la dea giovinetta aveva incautamente mangiato, ignara delle leggi d’Averno. Ella era ora costretta a soggiornare sotto terra per un terzo dell’anno, mentre gli altri due terzi sarebbe potuta rimanere con la madre.

L’incontro fra madre e figlia avvenne in un clima di gioia commovente che assunse dimensioni cosmiche per l’improvviso rifiorire dell’arida terra che, per volontà della Bionda Demetra, si ricoprì di una lussureggiante vegetazione.

La triade dei Misteri Eleusini Persefone, Trittolemo e Demetra. Bassorilievo marmoreo (440-430 a.C.), trovato a Eleusi

Demetra era ormai placata. Prima di risalire in Olimpo ella iniziò il giovane Trittolemo, figlio di Celeo, ai suoi misteri. La dea lo istruì personalmente nelle fasi di coltivazione, gli diede dei semi di grano, un aratro di legno e un cocchio tirato da magici serpenti. Lo incaricò, inoltre, di diffondere fra gli uomini l’agricoltura.

Nonostante le sue forti inclinazioni caratteriali a essere Madre, Demetra era assai poco Moglie. Non ebbe, infatti, uno sposo divino al suo fianco, anche se annoerò vari amanti. Dalla famosa relazione con Zeus, suo fratello, era nata la bella e bistrattata Persefone-Kore, al di fuori di qualsiasi celebrazione sacrale di nozze.

Durante la fastosa festa nuziale di Cadmo e di Armonia, Demetra s’innamorò del mortale Iasio, giovane cacciatore cretese. Eccitati dall’euforia dei festeggiamenti e inebriati dalle bevande che scorrevano in abbondanza, i due amanti si appartarono e si unirono in un campo tre volte arato. Ritornati al banchetto, essi mostravano evidenti segni di quanto era accaduto, a cominciare dal fango che copriva le loro vesti. Zeus era furibondo per l’ardire di Iasio che aveva osato giacere con sua sorella e lo colpì con la folgore. Da quell’unione con l’infelice cacciatore, Demetra generò Plutos, dio della Ricchezza Domestica e della Provvidenza Contadina.

Demetra e Pluto

In un’altra occasione, mentre errava disperatamente per cercare Persefone, Posidone, spinto da smania amorosa, la inseguì. Demetra, profondamente triste e stanca, non aveva alcuna voglia di unirsi a lui. Cominciò a fuggire e si trasformò in giumenta. Pascolava placidamente fra gli armenti di Oncos, re di Telpusa in Arcadia, quando Posidone, tramutatosi in stallone, la possedette. Dall’unione divina nacque una Ninfa innominabile, detta Despena, la «Signora » e il divino cavallo Arione. Il furore della dea per la violenza subita da suo fratello le valse il titolo di Demeter Erinys, che indossava il tremendo Gorgoneion, come Atena e Artemide. Per purificarsi dell’ira che l’opprimeva, Demetra dovette bagnarsi nel fiume Ladone e così potè riprendere la sua antica dolcezza.

Era questo, comunque, un aspetto marginale del carattere di Demetra. Data la prevalenza di elementi di un dolore materno così squisitamente umano e di una intrinseca essenza di natura benevola e civilizzatrice, ella godette sempre degli onori e del culto degli uomini. I limiti del suo immenso dominio sulla terra iniziavano allorché finivano quelli di Artemide, la grande vergine dea della natura selvaggia e incivile.

Da MITI E LEGGENDE DELL’ANTICA GRECIA, di Rosa Agizza – Newton & Compton

Foto: RETE

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