IMPARARE LA DEMOCRAZIA – La cura delle parole

Essendo la democrazia una convivenza basata sul dialogo, il mezzo che permette il dialogo, cioè le parole, deve essere oggetto di una cura particolare, come non si riscontra in nessuna altra forma di governo. Cura duplice: in quanto numero e in quanto qualità.

(a) II numero di parole conosciute e usate è direttamente proporzionale al grado di sviluppo della democrazia. Poche parole, poche idee, poche possibilità, poca democrazia; più sono le parole che si conoscono, più ricca è la discussione politica e, con essa, la vita democratica. Quando il nostro linguaggio si fosse rattrappito al punto di poter pronunciare solo sì e no, saremo pronti per i plebisciti; e quando conoscessimo solo più i sì, saremmo nella condizione del gregge che può solo obbedire al padrone. Il numero delle parole conosciute, inoltre, assegna i posti entro le procedure della democrazia. Ricordiamo ancora la scuola di Barbiana e la sua cura della parola, l’esigenza di impadronirsi della lingua? Comanda chi conosce più parole. Il dialogo, per essere tale, deve essere paritario. Se uno solo sa parlare, o conosce la parola meglio di altri, la vittoria non andrà all’argomento, al logos migliore, ma alla persona più abile con le parole, come al tempo dei sofisti. Ecco perché la democrazia esige una certa uguaglianza – per così dire – nella distribuzione delle parole. «È solo la lingua che fa eguali. Eguale è chi sa esprimersi e intende l’espressione altrui. Che sia ricco o povero importa di meno». Ecco perché una scuola ugualitaria è condizione di democrazia.

(b) Con il numero, la qualità delle parole. Le parole non  devono essere ingannatrici, affinchè il dialogo sia onesto. Parole precise, specifiche, dirette; basso tenore emotivo, poche metafore; lasciar parlar le cose attraverso le parole, non far crescere parole con e su altre parole; no al profluvio che logora e confonde. Esemplare è la prosa di Primo Levi. Le parole, poi, devono rispettare il concetto, non lo devono corrompere. Altrimenti, il dialogo diventa un inganno, un modo di trascinare gli altri dalla tua parte con mezzi fraudolenti. Ancora impariamo da Socrate: «Sappi che il parlare impreciso non è soltanto sconveniente in se stesso, ma nuoce anche allo spirito»; «il concetto vuole appropriarsi del suo nome per tutti i tempi», il che significa innanzitutto saper riconoscere e poi saper combattere ogni fenomeno di neolingua, nel senso spiegato da George Orwell. E significa affermare la sovranità della “cosa” detta sulla “sovranità della parola”, separata dalla sua verità e trasformata così in mezzo onnipotente di espropriazione dal discorso del suo contenuto di verità, secondo la forzatura che ne fecero fin dall’inizio Gorgia e i sofisti.

Da IMPARARE LA DEMOCRAZIA, Gustavo Zagrebelsky – La biblioteca di Repubblica

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