DUE CALABRESI A ROMA

GREGORIO E MATTIA PRETI (Particolare)
Allegoria dei cinque sensi, 1641-1646

Nella primavera del 1632, quando è documentato per la prima volta a Roma assieme a suo fratello Gregorio (1603-1672), Mattia Preti (1613-1699) era un giovane di belle speranze e qualche fortuna, innamorato dei grandi del suo tempo: Caravaggio, Ribera, Lanfranco e Guercino. Probabilmente i due calabresi erano giunti nella città papale dalla natia Taverna – piccolo borgo alle pendici della Sila – già nel 1624, in tempo per assistere agli ultimi bagliori della pittura caravaggesca e ai primi fuochi di quella barocca. Nei due decenni successivi, del resto, il linguaggio caravaggesco e i suoi temi tipici (concerti, buone venture, scene di osteria…) continuarono a ispirare i due artisti: uno sguardo “retrospettivo” che, evidentemente, trovava ancora degli estimatori nella Roma di quegli anni.

GREGORIO E MATTIA PRETI Eraclito e Democrito

DIPINGERE A DUE MANI

All’interno di questa produzione, tra il quarto e il quinto decennio del secolo, i due fratelli realizzarono insieme alcune composizioni di grande formato. Si tratta di opere imponenti, legate al gusto di importanti collezionisti, come l’Allegoria dei cinque sensi della collezione Barberini, nella quale i filosofi Eraclito e Democrito – emblematicamente contrapposti – ci esortano a giudicare razionalmente i piaceri derivati dalle esperienze sensoriali. L’autoritratto di Gregorio Preti, in primo piano, rimanda al senso della vista e, al contempo, costituisce un’esplicita celebrazione del valore della pittura.

MATTIA PRETI
Cristo e la Cananea, 1646-1647

LA CANANEA RESTAURATA

Esposta per la prima volta a Palazzo Barberini nel 2019 nella mostra Il trionfo dei sensi. Nuova luce su Mattia e Gregorio Preti, la grande tela raffigurante Cristo e la Cananea costituisce un’importante aggiunta al catalogo romano di Mattia. Il quadro, di qualità altissima, si trovava nella collezione della famiglia Colonna accanto a numerose altre opere dei due fratelli calabresi. Il principe Marcantonio V (1606- 1659), infatti, pagò il dipinto direttamente al pittore nel 1647. La tela, finalmente liberata da secolari patine di sporcizia e vernici ossidate, costituisce un fondamentale punto fermo nella cronologia del primo periodo di Preti junior, testimoniando il benefico influsso della pittura veneziana – di Tintoretto e Veronese in particolare – sull’arte del “Cavalier calabrese”.

LA BOTTEGA DEI PRETI

Nel fervido sodalizio artistico tra i due fratelli, Gregorio dovette rivestire nei primi tempi un ruolo di guida e di “procacciatore di commesse”, introducendo Mattia nei circuiti del mercato e dei collezionisti, e nelle grazie di potenti famiglie romane come i Barberini, i Rospigliosi e i Colonna. Ricorda a questo proposito Sebastiano Resta (1635-1714) che Gregorio «per tirarlo avanti e mantenerlo alla pittura si mise anche a lavorare per bottegari, che allora erano ricchi»: una testimonianza importante che mette in evidenza l’attenzione riservata dal fratello maggiore alla formazione di Mattia.

GREGORIO PRETI – Le Nozze di Cana

IL TALENTO E IL MESTIERE

Del resto, quella di Gregorio è una pittura discontinua nei risultati che mostra spesso inclinazioni culturalmente attardate e che ripropone in più occasioni schemi e modelli precedenti. Nelle inedite Nozze di Cana del Pontificio Istituto Teutonico, ad esempio, l’artista sembra ispirarsi alle inarrivabili tavole imbandite di ascendenza veneta realizzate da Mattia al ritorno dalla Serenissima, come la Cena del ricco epulone delle Gallerie Nazionali. Di ben altra forza e qualità è invece la Sant’Orsola di Santa Maria dell’Anima, ritrovata anch’essa da Alessandro Mascherucci e Yuri Primarosa e qui presentata per la prima volta. Il dipinto, databile tra il 1635 e il 1640, mette bene in evidenza la matrice meridionale del linguaggio di Gregorio, debitore in questo caso delle opere napoletane di Massimo Stanzione, Artemisia Gentileschi e Francesco Guarino.

LE STRADE SI DIVIDONO

SAN MARTINO AL CIMINO – LO STENDARDO DI MATTIA PRETI (Recto)

Nel 1642 Mattia Preti fu investito da Urbano VIII del prestigioso titolo di cavaliere dell’Ordine di Malta, mentre con la pala per la chiesa di San Pantaleo (1644-1646) arrivò la sua prima consacrazione pubblica. Nel 1649-1650, inoltre, dipinse lo stendardo processionale di San Martino al Cimino – voluto dalla potente Olimpia Maidalchini Pamphilj – e nel 1651 avviò i maestosi affreschi dell’abside di Sant’Andrea della Valle, posti a diretto dialogo con quelli dei “grandi” Domenichino e Lanfranco.

SAN MARTINO AL CIMINO – LO STENDARDO DI MATTIA PRETI (Verso)

Forte di questi alti riconoscimenti sociali e professionali, Mattia lavorò sempre più in proprio, tanto che il 5 marzo 1646, dopo anni di convivenza, non risulta più abitare con Gregorio. Nel 1652, tuttavia, i due Preti si ritrovarono per l’ultima volta a dipingere insieme nella controfacciata di San Carlo ai Catinari. Il confronto delle loro opere, eseguite autonomamente, rivela in modo eclatante la distanza tra il diligente mestiere di Gregorio e l’impetuoso talento di Mattia, che l’anno successivo avrebbe lasciato Roma per proseguire a Napoli e a Malta la sua luminosa carriera.

FONTE: https://www.barberinicorsini.org/wp-content/uploads/2020/11/Preti-Cananea-Dossier.pdf

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