AMMUCCIATEDDA

Un piccolo paese della Calabria, San Nicola da Crissa, sulle serre vibonesi. Tra la metà degli anni cinquanta e i primi sessanta.

Come tutti i paesi, San Nicola è un grembo di suoni temperati, che, da sempre, custodisce il ritmo della vita. Dal fitto abitato, non ancora del tutto eroso dall’abbandono, sale un brusio gaio, le onde sonore delle cantilene infantili.

Fra cortili e vicoli, impazza l’“ammuccia”: in Calabria si chiama così il gioco del “nascondino”. Un modo per abitare il paese, e farne cosa viva.

Un bambino, sei-sette anni, si rannicchia in un anfratto, un buon posto per nascondersi, e non è troppo lontano dalla “tana”, gli basta una piccola corsa. Spiando i passi lenti e accorti del compagno che si avvicina, il suo cuore batte colpi “di ansia e di paura”. Resisterà all’assalto dell’emozione?

Ora, il suo corpo si raggomitola su se stesso, come se volesse assottigliare la sua consistenza incuneandosi tra terra e pietra. Avverte l’odore del terreno umidiccio. Gli piace.

In questa breve e ansiosa eternità, il bimbo resta in attesa del momento più propizio per balzare fuori cogliendo di sorpresa il compagno che lo sta braccando, e finalmente gridare: “Libero”! E gioiosamente libero si sentirà, in volo, sul cortile, sul vicolo, sull’intero paese.

Ma, prima di potersi liberare, percorre un tempo vuoto inciampando in una particolare sensazione, qualcosa che è meno di un sentimento, o forse qualcosa di più: un impasto di sentimenti diversi, un ingarbugliato nodo del cuore. Impiegherà anni per capire quell’intricato intreccio, sarà necessario allontanarsi dal punto più vivo dell’emozione vissuta, dilatare il suo sguardo sulle cose e sulla sua stessa vita, capire i legami che ne hanno formato il tessuto. E alla fine ritroverà, intatto nella sua forza, il primo strato di quell’antico sentimento: “Avevo come l’impressione che qualcuno mi osservasse, mi accompagnasse, mi proteggesse, come se il luogo mi guardasse e mi guidasse, avesse qualcosa da dirmi e da comunicarmi”.

Il bambino dell’“ammuccia” si farà antropologo per decifrare la lingua dei luoghi e i loro sentimenti. E raccoglierà le tante voci di una “terra in fuga, inquieta, precaria, mobile”. Voci, e qualche volta grida. […]

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Di MAURIZIO CIAMPA

Fonte: https://www.doppiozero.com/rubriche/68/202106/paese-mio-che-stai-sulla-collina

Foto: Rete

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Il nascondino ad Orsomarso era l’ammucciatedda.

Dell’ammucciatedda mi piace sottolineare un particolare: era un gioco di gruppo, come tutti gli altri giochi del tempo contadino. Mazza e pivizu, cavaddu lungo, steccia, carriciddo, le avventure nel Canale o nell’Argentino: si era sempre in compagnia. Anche giochi apparentemente solitari, come la raccolta di figurine, di carte di caramelle, di tappi di bottiglia, di bottoni; o il gioco cu circhio, si condividevano sempre con qualcuno.

La strada era il luogo dove si cresceva e la miseria dettava le regole.

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