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Tu così avventuroso nel mio mito,
così povero sei fra le tue sponde.
Non hai, ch’io veda, margine fiorito.
Dove ristagni scopri cose immonde.
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Pur, se ti guardo, il cor d’ansia mi stringi,
o torrentello.
Tutto il tuo corso è quello
del mio pensiero, che tu risospingi
alle origini, a tutto il fronte e il bello
che in te ammiravo; e se ripenso i grossi
fiumi, l’incontro con l’avverso mare,
quest’acqua onde tu appena i piedi arrossi
nudi a una lavandaia,
la più pericolosa e la più gaia,
con isole e cascate, ancor m’appare;
e il poggio da cui scendi è una montagna.
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Sulla tua sponda lastricata l’erba
cresceva, e cresce nel ricordo sempre;
sempre è d’intorno a te sabato sera;
sempre ad un bimbo la sua madre austera
rammenta che quest’acqua è fuggitiva,
che non ritrova più la sua sorgente,
né la sua riva; sempre l’ancor bella
donna si attrista, e cerca la sua mano
il fanciulletto, che ascoltò uno strano
confronto tra la vita nostra e quella
della corrente.
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Di Umberto Saba
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Il poetare come mezzo per descrivere l’animo umano
Secondo Umberto Saba, la poesia deve costituire un mezzo per chiarificare la condizione dell’uomo, e in quanto tale, essa necessita di semplicità. Deve scandagliare gli abissi dell’anima ed esprimere le profondità della coscienza per giungere alla comprensione dei traumi, dei dolori e dei comportamenti dell’uomo.
Lo stile di Umberto Saba è semplice e chiaro. I suoi versi sono accomunati dalla quotidianità dei termini e delle tematiche: persone, animali, luoghi, avvenimenti… Saba descrive ciò che accade ogni giorno a ciascuno di noi. I temi ricorrenti sono la città natale, l’amore, gli affetti più cari, il mare e il rapporto con la natura, che spesso si fa mezzo per descrivere i nostri sentimenti e le nostre emozioni.
“Il torrente” è un componimento emblematico dello stile e delle tematiche di Umberto Saba. A proposito di questa splendida lirica, Franco Fortini scrisse:
“Poesia esemplare del Saba di Trieste e una donna: pochi endecasillabi, appena pausati da due settenari e da due quinari. Il torrente lungo il quale il ragazzo era accompagnato dalla madre (che confrontando sentenziosamente la vita umana alla sorte dell’acqua corrente infondeva nel bimbo austerità e tristezza) è qui un simbolo (ma anche un’allegoria) rivissuto nel ricordo. Fin dal v. 1 si parla infatti del mito che aveva trasformato in avventuroso il torrentello che, nella realtà, è povero; e la similitudine col corso del pensiero è apertamente dichiarata.
La densità patetica è data dall’antitesi di due presenze femminili, quella che si concentra nel nesso di aggettivi nudi-pericolosa-gaia, e cioè la lavandaia, una immagine (quale che fosse l’intenzione cosciente del poeta) di libertà e di piacere, di forte e bello; e quella, antitetica alla prima, del sacrificio e della disillusione (e repressione) rappresentata dalla madre, e dalla sera del sabato (che il verso di Leopardi ha connotato di oscure premonizioni ma che forse qui si presenta non come inizio ma come fine di un giorno festivo, il sabato ebraico).
Il centro emotivo della poesia è spostato verso la negatività, fin dai vv. 4 (cose immonde) e 5 (ansia), e si rivela nelle ripetizioni lente dei vv. 18-20 (cresceva, e cresce (…) sempre, sempre, sempre e, ancora al v. 23, sempre). I luoghi lessicali e ritmici di una tradizione (il margine fiorato, il cor d’ansia mi stringi, l’avverso mare) ridotta a convenzione da libretto di opera lirica hanno il compito di distanziare la violenza patetica.
Si veda come i periodi sono costruiti nel rispetto dei nessi razionali, con il gioco delle relative e delle subordinate, fino agli «enjambements» degli ultimi cinque versi che debbono solo alle rime e agli arcaismi (ancor bella, fanciulletto) il tremito patetico della forma dimessa, in cui la prosasticità è spinta sino all’ironia (uno strano /confronto)”.
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Foto: l’Argentino di Orsomarso
Suggerita da Vincenzo Bloise